Licia Satirico per il Simplicissimus

Prima di raccogliere le sue cose – non certo vasi Ming e scimitarre kazake come il fondatore del Pdl, ma forse rosari e testi sacri – l’ex sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella (integralista con passato predisponente di radicale libera) ha trovato il tempo di inviare al Consiglio Superiore di Sanità le nuove linee guida sulla legge in tema di fecondazione assistita. L’intervento sarebbe apparso certo opportuno, e addirittura tardivo, qualora la zelante Roccella avesse adeguato i criteri interpretativi della legge 40 alla necessità – evidenziata nel 2009 dalla Corte costituzionale – di porre la salute della donna al centro di ogni possibile decisione relativa all’impianto e al trasferimento degli embrioni.

La cosa singolare è che sia accaduto, invece, l’esatto contrario: la tetragona Roccella ha reintrodotto il divieto di diagnosi pre-impianto, stroncando così le aspettative dei portatori di malattie genetiche già riconosciute legittime dai tribunali. La sconcertante decisione, subito criticata dagli studiosi di medicina della riproduzione, è stata difesa dall’ex sottosegretaria con un’argomentazione lineare quanto raggelante. La legge 40 (ritenuta troppo “uccisiva” dagli eruditi di Scienza e Vita) sarebbe dedicata a chi non è fertile e non già a chi è malato: “non si può rispondere ad un’ingiustizia naturale con un’ingiustizia legale”. Chi è malato si arrangi, visto che non spetta al diritto tutelarlo…

In verità la Roccella ha ragione. La legge italiana sulla procreazione assistita opera, per paradosso, una selezione eugenetica degli aspiranti genitori, escludendo i portatori di malattie genetiche dal novero dei possibili beneficiari: tentare di evitare ai propri figli la trasmissione di malattie genetiche è pratica posta alla stessa stregua di un intervento minacciosamente migliorativo della specie, frutto di hybris. La legge 40 è contro la fecondazione assistita, in ossequio a quelle stesse esigenze confessionali che stanno condizionando anche il cammino del disegno di legge contro il testamento biologico. In Italia non si può nascere se non attraverso concepimenti istituzionalmente corretti, e una volta nati non si può comunque morire: non, almeno, se capita di restare attaccati a un respiratore. Il nostro Parlamento di golem, di transfughi e di scilipotidi si occupa da troppo tempo di esistenze in limine, aurorali o crepuscolari, tra una legge ad personam e l’altra. Il resto, come abbiamo visto, può attendere l’era dell’emergenza, della paura del collasso, dei sacrifici necessari affidati a tecnici di chiara fama.

I governati saranno grati alla Roccella di cotanto impegno? Stavolta, in un insensato momento di ottimismo, ne vogliamo dubitare: non soltanto perché la fallimentare legge 40 ha distrutto i desideri di paternità di tanti elettori (tutti di sinistra? Tutti atei?) in nome del folle principio della naturalità della procreazione, ma perché fatti recenti sembrano evidenziare una saturazione trasversale verso politici “diversamente laici”, paladini dell’etica privata che militano in partiti che hanno stravolto le regole elementari dell’etica pubblica.
Il sonno della ragione genera mostri. Anzi, li procrea.