A molti italiani Monti è piaciuto subito. Un po’ perché era un nome che girava da anni come quello di uno stimato economista citato in modo bipartisan, ma soprattutto perché è stato immediatamente salutato come il salvatore dalle grinfie di Berlusconi da una parte e dei mercati dall’altra.

Ma l’illusione già oggi si è frantumata contro le difficoltà bizantine di una politica ormai paludosa per non dire marcia che cerca a vario titolo salvezza, vendetta, liberazione dalla responsabilità diretta: gli spread risalgono e non per colpa del professore, ma semplicemente perché la classe dirigente del Paese e un numero incalcolabile di italiani non hanno ancora capito che non esistono più salvatori a cui affidarsi se non se stessi.

La lunga avventura berlusconiana, l’entusiastica e cieca adesione a un non progetto, alla ammiccante tirannia mediatica, alle atellane dei vlasti, hanno ormai diffuso un’immagine dell’l’Italia come inaffidabile, sospetta, leggera, disonesta e irresponsabile, lo specchio insomma del leader a cui si è per troppo tempo prostrata e affidata. E dunque ogni ostacolo verso un cambiamento viene interpretato dai mercati, che poi sono la media ponderata dell’egoismo e dell’indifferenza del liberismo, come segnale negativo di una non volontà di cambiare.

Per questo Monti, nonostante sia uomo conficcato nel cuore stesso della finanza e della sue organizzazioni, può fare poco se non si avverte un mutamento reale di clima intorno a lui. E se deve perdere giornate intere a parlare con le più stravaganti e inutili sigle di partito, se deve entrare nel gioco a scacchi delle incertezze e delle rivalse, tutto sarò inutile, ammesso che già non lo sia.

Nei giorni scorsi ho avvertito la freddezza attorno alle mie sconsolate considerazioni sulla cultura di Monti, sul suo appartenere al gotha del neoliberismo, attorno a un mandato ambiguo che parte da Fmi e Bce e si concreta nelle imposizioni di un  comitato di salvezza europeo formato da leader non all’altezza della situazione, ossia Merkel e Sarkozy. E’ vitale che ci sia un cambiamento profondo, ma quello vagamente delineato dalla lettera della Bce, rischia di non essere altro che una continuazione della macelleria sociale che è andata avanti in questi anni a passi felpati, solo sostituendo ignavia e inganno con la frusta.

Non mi appassiona affatto il dibattito tra governo tutto tecnico o di salvezza nazionale perché il dubbio amletico alla fine è solo una variante dell’irresponsabilità: mi interessa cosa si vuol fare. Forse sarebbe stato meglio evitarsi tutto questo e andare subito alle elezioni, cosa tuttavia resa impossibile da una casta che pretende i suoi posti e i suoi vitalizi. Ma ora questa strada non è più percorribile se non mostrando urbi et orbi lo stato le piaghe del Paese , il suo stato comatoso dopo vent’anni di berlusconismo con il conseguente ulteriore disastro finanziario.

Ma soprattutto mi interessa che la si finisca finalmente di trovare salvatori con bacchette magiche. Solo ciascuno di noi la possiede e si chiama impegno politico.