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Giovani padroncini crescono

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Si sa certe isole favoriscono riflessioni e promuovono dinamismo di pensiero e azione. Dopo Ventotene, un appello alla mobilitazione arriva, pensate un po’, da Capri.
Una scelta «rivoluzionaria», l’ha definita Morelli, presidente dei giovani industriali, ma maturata alla luce delle «zero risposte» alle proposte già rivolte all’esecutivo insieme agli appelli all’intera classe politica; e quindi, «zero politici» al tradizionale incontro annuale. E zero è anche la previsione di crescita per l’Italia nel 2012.

Ma zero non è l’unico numero che dà il brillante zerbinotto confindustriale. 120 e 27, 120 come il debito pubblico, al 120% del Pil; 27 come 27% della disoccupazione giovanile. “Non siamo la Grecia. E’ vero. Ma siamo distanti dalla Germania. Non servono altre menzogne, abbiamo bisogno di verità”, sollecita. “Finora si sono rimandati i problemi, fino a mettere in pericolo la nostra stessa sopravvivenza. Abbiamo bisogno di leader – incalza – che sappiano spiegare, convincere e agire: l’unica prova concreta della leadership è la capacità di guidare”.

Tremo immaginando di chi stia proponendo la candidatura ma una pashmina mi scalderà. Ma certo che gli impuniti crescono in fretta e apprendono rapidamente le peggiori abitudini dei grandi. Così fiorentino, così rottamatore mi ricorda qualcuno, affine anche nelle parole d’ordine alla base del programma dell’uno come dell’altro: giovani, imprenditorialità, leadership, merito e futuro. E tre i settori su cui puntare: scuola, lavoro, energia nucleare. Uno dei due non si è sottratto alla visita pastorale ad Arcore è vero, ma per il resto sono quasi indistinguibili affogati nell’orrenda dolciastra conformistica nauseante marmellata nella quale sguazza il paese, anzi come direbbero loro, il sistema Italia.

Incantati e vittime della nuova ortodossia, del pensiero unico vigente, il credo liberale al quale si deve necessariamente soggiacere se si è moderni, se si è globali, se si è giovani, se si considera la politica e anche lo stato, le leggi, le regole, i diritti, fastidiosi ostacoli da rimuovere se non corrispondono alle aspettative di quell’aggressivo darwinismo sociale, di quella riedizione più aggressiva del vecchio liberalismo economico.
Eh si per loro, a loro insaputa perfettamente funzionali a questo ceto di governo e di impresa, egoista e ebbro di avidità tanto da darle qualità morale, bisogna lasciare al mercato la facoltà di autoregolarsi, stabilendo l’obbligo per lo Stato di astenersi da interventi in economia se non quello di assicurare la quantità di moneta necessaria allo svolgimento delle transazioni. E di dare sostegno, assistenziale, alle aziende che hanno bisogno di liquidità per continuare a giocare le loro rapaci partite alla roulette della finanza. È che proprio grazie a loro, a quelli come loro in ogni parte del mondo, alla loro alleanza largamente auto dissolutrice, la moneta ha smesso di essere un elemento passivo e subalterno del sistema economico che deve adattarsi alle esigenze reali del mercato. È la moneta la realtà, sebbene immateriale, circola nelle vene, ha una sua logica autonoma e la struttura economica ne è ormai guidata e occupata.

È stato possibile tutto questo anche grazie alla grande illusione, alla trappola nella quale è volonterosamente e dissennatamente caduto il pensiero di sinistra e anche quello “democratico”: pensare che non ci si può sottrarre al capitalismo, che non c’è alternativa al mercato e al suo disarmonico disegno di crescita illimitata e suicida, come a una ineluttabilità o un tabù. Che si dovevano semplicemente trovare compensazioni sociali e morali, temperarlo con un po’ di concessioni, con un allargamento misurato delle informazioni, con una somministrazione cauta e sorvegliata di diritti. Una volta si diceva che il capitalismo è come Proteo, inafferrabile, cangiante, sfuggente. E alcuni governi, le socialdemocrazie credevano di averlo imbrigliato. Ora è invece chiaro che si è ripresentato con il suo aspetto più animalesco e vorace.

E l’unica ricetta contro la sua hybris e la sua nemesis risiede nell’intelligenza e nella ragione applicate alle soluzioni, nella sostenibilità fisica e ecologica e nella sostenibilità politica, con tutti i vincoli necessari a assicurare la coesione della società.
A differenza che a noi, non sono i partiti e l’attuale classe dirigente che muove l’insofferenza degli imprenditori con un piede dentro o fuori dalla politica. A loro proprio non piace la democrazia, le sue regole, i suoi vincoli, le sue leggi, la sua libertà. Perché le preferiscono la licenza, l’arbitrarietà, le disuguaglianze, l’interesse di pochi, loro, che ha il sopravvento sull’interesse di tutti, noi.
Non ci resta che ricorrere ai loro stessi numeri: in politica, imprenditori zero.

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