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Un’applicazione chiamata violenza

Voglio uscire per un po’ dal circolo vizioso violenza- repressione, quella specie di cane impazzito che da sabato si mangia la coda sui giornali e in rete. E nel quale sembrano presi anche i protagonisti della protesta scacciati dal palcoscenico della protesta a causa degli scontri che si sono mangiati tutta l’attenzione. Esecrare i riots e le loro conseguenze è ragionevole, ma scontato. Così com’è scontata la simpatia raramente raramente espressa, ma molto consistente verso una reazione “forte” alle macellerie della finanza.

Possiamo dire che la violenza va sempre rifiutata per principio, possiamo dire che essa è controproducente perché dà fiato alla repressione e alla reazione, possiamo dire che essa è inutile perché contribuisce a rompere quel piano di partecipazione e democrazia la cui obsolescenza provoca appunto la protesta. Ma si tratta di un’analisi povera sul piano politico e psicologicamente cieca. Non ci si può limitare a condannare o a simpatizzare segretamente, senza toccare e comprendere: soprattutto senza domandarsi se i cosiddetti black blocs siano un corpo estraneo, il sintomo di una malattia dalla quale siamo immuni o della quale siamo portatori sani fino a che anche la nostra personale situazione non verrà travolta dall’impoverimento generale e non ci saranno strappati i simboli della nostra esistenza e dei nostri ruoli.

La violenza può insegnarci qualcosa, prima che sia troppo tardi. Intanto che è del tutto inutile spaccare le vetrine delle banche e divellere i bancomat, perché la finanza e i suoi incantamenti non sono lì, ma altrove: bisogna trasformare la rabbia che si esprime in maniera inconsulta in ira che invece sa usare la ragione. Proprio nei giorni in cui gruppi e folle  si preparavano a contestare il banca mondo, c’erano altre file e assembramenti per aggiudicarsi l’ultimo giocattolo del defunto Jobs, l’iPhone 4S quasi che in esso potessero esserci le ceneri del Ceo di Apple o che chissà quali irresistibili incantamenti potesse contenere. Gli ingegneri e i ragazzi di iFixit lo hanno esaminato e smontato minuziosamente per accorgersi che è uguale al modello precedente, il 4 e che le funzionalità vocali che inaugura (peraltro tecnicamente scontate) sarebbero state perfettamente supportate dal vecchio modello se solo i server Apple lo avessero consentito.

Insomma nient’altro che una tecnica commerciale per centellinare innovazioni e una tecnica di potere che si estrinseca attraverso il consumismo e il possesso di oggetti, un gioco di prestigio per tenere sempre sulla corda  l’homo emptor, l’uomo che è in quanto compra. E’ solo un esempio fra mille, ma ecco che abbiamo trovato il cuore della finanza: dentro di noi. Ci viene servito il piatto di lenticchie ultimo modello, dopo averci convinto che è la cosa più desiderabile del mondo, averci distratto e trascinato nella rete di una inconsapevolezza di fondo.

Però non possiamo colpirci in testa con un estintore ed è per questo che la violenza è una trappola. E lo è perché spesso non rivendica un nuovo modo di concepire la società e noi stessi, ma sfoga la rabbia per il mancato possesso di ciò per cui ci sentiamo di essere, per la promessa infranta, per la disillusione.

No la violenza non può essere quella di strada, anche se inevitabilmente finirà per crescere, ma un’altra assai più sottile ed efficace: cominciare a rifiutare i meccanismi che reggono la dittatura finanziaria. Proprio ieri è successo che i clienti di una banca newyorkese siano stati sequestrati nei locali prima dalla sicurezza e poi dalla polizia per un reato gravissimo: quello di voler ritirare i propri depositi. Altro che bombe carta, questa è la vera arma atomica: dimettersi da clienti e cominciare ad essere uomini.

 

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