Enrico Letta in vita sua ha fatto solo il politico, anzi qualcosa di meno: ha fatto il nipote del conte zio, Gianni Letta, ovvero il nipote del potere in tutte le sue sfaccettature. Il lavoro nel senso concreto, talvolta misero, talvolta umiliante lo conosce solo dai testi di sociologia che forse legge  im grundrisse, in riassuntoCosì pur militando in un partito che dovrebbe avere a cuore principalmente le tematiche del lavoro, ne parla sempre astrattamente come se riguardasse solo gli sfigati che non possono fare a meno di faticare e che non vogliono rassegnarsi alle inesorabili ricette del liberismo delle quali è un assertore così convinto da non accorgersene nemmeno.

Per questo il suo cuore duole poco per i licenziamenti, i tagli dei diritti, i salari tra i più bassi dei Paesi Ocse, per la macelleria sociale imposta principalmente dalla cialtroneria di un governo ad personam.  Ma si adira se di Pietro dice una sciocchezza come “qui ci scappa il morto” e la prende subito a pretesto per dire che è un irresponsabile e che “con lui mai”. Perché Letta fa parte di quella fioritura di muffa politica che sono i cattoconservatori e scalpita per fare il centrista assieme a Casini.

Parlare di irresponsabilità di Pietro per una frase, dopo anni di colpevole e drammatica irresponsabilità del berlusconismo e di un intero ceto politico, è il più meschino e miserabile dei pretesti, un’uscita da quacquaraquà. Un segno, di vera, reale irresponsabilità.

Ma i nipoti sono così, tentano di imitare gli zii senza riuscirci, usano un linguaggio colto senza avere cultura, si barcamenano, sono parte di una fauna ipogea che non esprime nulla se non la protervia della propria condizione. Davvero è un povero Paese quello che deve affidarsi al vuoto pneumatico dei Letta e dei Fioroni. Se almeno avessero le tette si saprebbe benissimo dove sarebbero.