Anna Lombroso per il Simplicissimus

Stamattina il TG1 andava in onda senza servizi e in versione ridotta. A noi magari pare che sia sempre in versione ridotta, monca, contraffatta, ma oggi a loro dire lo era per ragioni sindacali: i giornalisti che si tengono Minzolini come direttore avevano sorprendentemente aderito allo sciopero indetto dalla Cgil contro la manovra iniqua.
E mi è venuto in mente uno scritto folgorante di Fofi di tanti anni fa. Le mezzeseghe all’arrembaggio si chiamava e descriveva un fenomeno che allora, nei rutilanti anni Ottanta, aveva fatto irruzione con prepotenza sulla scena, l’ascesa di un tipo di “operatore culturale” che si accreditava come “moderno”, disincantato, concreto, e che di fatto, cito, non faceva che ribadire ed esaltare la linea del potere, il suo puntare sull’immagine e la festa, sulla consolazione piuttosto torbida degli italiani tra narcisismo e consumismo.

Nel percorso della storia che si arrotola su se stessa come quelle conchiglie che se le avvicini all’orecchio senti un rumore che sembra il mare invece è l’accanimento del tempo sempre uguale, ecco nel corso della storia le “mezzeseghe” di allora, senza nessun imbarazzo hanno perfezionato la loro vocazione al trasformismo finalizzato sempre più a farli assomigliare alla marionetta desiderata dal padrone, allora il Bokassa della Milanodabere, oggi la grottesca compagine del governo delle “tre carte”. Così, come si addice al momento storico sono sempre più entusiasticamente propagandisti del capitale, ripetitori ubbidienti della penosa necessità che deve ragionevolmente comportare la rinuncia ai diritti, ammiratori focosi del primato del mercato e talmente ben disposti verso le regole del libero e disinvolto commercio da trovare irresistibile vendersi e rivendersi.
Così con la beata innocenza di chi considera il compromesso una virtù l’aggraziata brunetta incaricata di fare il ventriloquo del tiggì ci ha resi edotti che lo sciopero era stato proclamato sì dalla Cgil ma che gli altri sindacati avevano invece scelto una posizione più “riformista” rispetto alla manovra del governo.

Nel penoso stravolgimento della realtà, della verità, della storia e ahimè anche della cronaca oltre che di linguistica, semantica e vocabolario, abbiamo una manovra autodefinita “socialista” e dei brutali fiancheggiatori dell’iniquità più pestilenziale che si targano e vengono insigniti del nome di riformisti. È la saga dell’eufemismo: i pacchetti di misure peracottare si chiamano manovra finanziaria, i sindacalisti al servizio del padrone sono progressisti. E le mezzeseghe si credono giornalisti.