Anna Lombroso per il Simplicissimus

Se fossi uno dei commentatori degli autorevoli quotidiani nazionali sarei davvero indignato. Ma guarda che ingrato quel Bossi. “Ai giornalisti bisognerebbe dare quattro legnate, hanno inventato una grande manifestazione dei centri sociali a Calalzo, ma in verità non c’é stato niente”. Ha addirittura lasciato il Cadore dopo la cena di compleanno di Giulio Tremonti (spostata anch’essa dal tradizionale ristorante in cui si è sempre svolta), dice, per evitare di stare in mezzo ai giornalisti “che rompono le palle in continuazione, che sono dei delinquenti”.
“Eh si bisogna che impariamo come un tempo a dare dei grandi passamano a quei delinquenti – ha aggiunto. I giornalisti vanno riportati sulla giusta strada, altrimenti vadano a fare i muratori”.

Si proprio non sa cosa sia la riconoscenza, insieme peraltro a molte altre cose, che la stampa ha sempre sottovalutato.
E dire che larga parte della fortuna elettorale oltre che d’opinione della lega è attribuibile proprio a media incantati dal fenomeno più che dalla normalità, dal sensazionalismo più che dai contenuti, dall’orrido opaco più che dall’onesta trasparenza, dal populismo più che dal popolare.
Ondeggiando tra ammirazione e sottovalutazione il leghismo è stato invidiato dalla stampa di sinistra per un radicamento territoriale memore dei fasti del vecchio Pci, encomiato per essere l’unico partito rimasto e al tempo stesso l’unico anti-partito, elogiato per il protervo attaccamento alle radici locali, compuntamente approvato per l’innamoramento folkloristico per la tradizione.

Preceduti dal lungimirante D’Alema che come sempre non ne indovina una, ne è stato unanimemente riconosciuta un’appartenenza ideale all’antifascismo, del quale la Lega sarebbe una costola, ma non come Eva con Adamo visto il conclamato celodurismo, anche quello guardato con una certa compiaciuta approvazione. E al tempo stesso sono stati sottovalutati i rischiosissimi ingredienti di una combinazione micidiale: xenofobia e razzismo, culto della personalità, autoritarismo, disprezzo per le istituzioni e lo stato, dileggio della costituzione e della bandiera, lo strategico perseguimento di una cultura della paura, della diffidenza e dell’egoismo per alimentare isolamento dal vero progresso, per incrementare divisione, per egemonizzare scontentezza e disaffezione dalla democrazia.

Fino all’estrema aberrazione di guardare con simpatia alle esternazioni di un buffone che non fa ridere quando recita il copione tante volte messo in scena della sfida e del recupero del padrone, della ribellione e del rientro nei ranghi, della denuncia e della inevitabile smentita. Come se ci potesse fidare di una salvezza da Berlusconi tramite Bossi, da un tacon peso del buso, da un dispotismo economico grazie a un golpista meno ricco ma altrettanto avido di quattrini, ignavia, potere personale.

E’ che con i giornalisti e i sociologi e gli osservatori e i politologi a Bossi è riuscito quello che aveva sperimentato con successo con i suoi elettori: tirare fuori il lupo che alberga in noi. Con loro quindi l’operazione di estrarre una violenta e irrazionale vena di valori autoctoni, infami luoghi comuni, timori ancestrali del “diverso”, difesa di privilegi vinti nella lotteria naturale per avere avuto i natali sopra il Po’, o tutelati grazie sconfinamenti nell’illecito dell’evasione fiscale, di lavori non garantiti, di sfruttamenti più che tollerati promossi, forse di risentimenti nei confronti di luoghi maggiormente illuminati da sole e benedetti dalla bellezza. E in tanti osservatori ha saputo suscitare il compiacimento un po’ codardo per la prevaricazione del pensiero attraverso un dinamismo irrazionale, disordinato e volgare, come quelle zitelline che dicono cavoletto e invidiano chi ha il coraggio di proferire esplicite invettive. E non è dispiaciuto loro nemmeno quel bel po’ di letame scaraventato sul sacro suolo,come se una retorica vuota e cialtrona fosse preferibile a principi e valori fondanti. L’ampolla facesse più tendenza e più lettori della Costituzione. I serenissimi fossero più moderni dell’arcaica resistenza.
Si è proprio ingrato quel Bossi. E anche io, che gliene voglio per aver usurpato il mio colore preferito facendone la tinta dell’attentato a democrazia e libertà