Un anno fa il manager col maglioncino era all’apice del successo. Aveva conquistato Chrysler, parlava di raddoppiare la produzione di auto in Italia, aveva impostato il suo impianto ricattatorio su Pomigliano e si apprestava a farlo con Mirafiori. Meno diritti e salari in cambio di lavoro che poi consisteva nella nuova Panda e in qualche paginetta di fumosi piani.

Ma il suo sorriso sparava sopra il cachemire, il suo facciotto rotondo era l’emblema delle nuove non relazioni industriali che mandavano in sollucchero la Marcegaglia e il governo, conquistava la stolidità di Bonanni e induceva alla resa l’opposizione. Invano la Fiom resisteva: il coro di lodi sperticate era generale. Guai a non onorare il supermanager che aveva rilanciato la Fiat, guai a far notare che in realtà l’azienda veniva svuotata trasportandone in Usa il centro progettuale, che i piani non esistevano, che i ricatti erano solo bluff, che la disarticolazione dell’azienda preparava tempi bui.

In nessun altro Paese del mondo si sarebbe dato credito ai piani e ai diktat di Marchionne, per la loro palese inconsistenza, ma un Italia confusa e padronale, con un’informazione prona alla Fiat e un’opposizione senza coraggio, l’uomo del maglioncino è riuscito a fare ciò che ha voluto pur essendo solo un uomo della finanza, senza nessuna attenzione al prodotto e alle vere strategie costruttive.  A dirla tutta era già un uomo del passato che proponeva una sua modernità in ritardo, come del resto sta facendo proprio in questi giorni il governo del cavaliere senza staffe.

E’ passato qualche centinaio di giorni e ci si trova con un gruppo Fiat che è al mimino storico della penetrazione commerciale in Europa, con Mirafiofiori dedita ad assemblare suv Chrysler che hanno già fatto flop negli Stati Uniti, con la 500 costruita in Messico che proprio agli americani non piace come del resto avrebbe capito anche un bambino, con la produzione in Brasile, vero eldorado del gruppo, che tiene ma a costo della riduzione all’osso dei margini, senza vere novità in arrivo a breve termine, con una fusione tra due gruppi legati a produzioni diversissime il cui unico punto di contatto consiste in un giudizio non proprio benevolo su affidabilità, qualità e innovazione.

Insomma sta affiorando tutta la mediocrità del supermanager non prima però di avergli concesso tutto. E assieme ad essa emerge l’ancor più evidente modestia, inettitudine e ipocrisia delle classi dirigenti del Paese e di quella politica in particolare. Valga per tutti l’ex maestro di tennis Sacconi, un cialtrone in vendita che da comparsa è diventato protagonista nel sistema Berlusconi. Un vero dead servant walking , perché dire uomo sarebbe davvero troppo, anche se portasse il maglioncino.