Anna Lombroso per il Simplicissimus

“ ..che paesi..prima che arrivino allo stadio di civiltà che abbiamo noi servono lunghi anni.. strade case albergi ospedali, niente di quello che si vede anche nella parte meno avanzata d’Europa: poveri paesi. Manca loro il senso dell’onestà e della giustizia…. Questo è un posto che bisognerebbe distruggerlo o spopolare e mandarli in Africa a farsi civili..”
Uffa il solito Borghezio direte voi. Invece è Nino Bixio alla moglie nel 1863. E aggiunge: “quale Governo Dio ha permesso che avessero”. E qui concordiamo. Quello attuale con molta pompa e fasti ha elargito loro sette miliardi e mezzo estratti dal Fas, il salvadanaio che avrebbe dovuto ridare linfa vitale alle Regioni meridionali e che ricorda quei porcellini spaccati col martello da genitori poco oculati, in questo caso da un ministro dell’Economia scriteriato.
Pronto per il plastico e la lavagnetta luminosa di Vespa l’increscioso premier che sollecita i suoi elettori a diventare piccoli azionisti di mediaset, ha annunciato come d’abitudine grandi opere e sorti magnifiche e progressive: il completamento dell’autostrada e della ferrovia nel tratto Napoli-Salerno-Reggio.
Sette miliardi e mezzo sono un investimento risibile: non bastano per affrancare da torti secolari, non bastano per emancipare da assistenzialismo e colonialismo, non bastano per riavviare l’industralizzazione e nemmeno per verificare la praticabilità di una alternativa, non bastano per svincolarsi dalla pressione della malavita organizzata che innerva il tessuto economico, produttivo, sociale del Sud. E comunque non nascondiamocelo, fossero di più, fosse un flusso formidabile di risorse come tanti ce ne sono stati a poco servirebbero se non si cambiano le regole della gestione della qualità della spesa, se la logica resta quella di una nuova ancora più inefficiente inefficace e lottizzata Cassa del Mezzogiorno, se potrebbero solo servire a alimentare redditi e consumi spesso opachi, ma non a attivare processi di sviluppo. Se in sostanza non sono lo strumento di una operazione di investimenti per la crescita, ma la base del potere balcanizzato di una classe politica nazionale e locale. Senza contare che al disegno di decomposizione nazionale, allo svuotamento delle istituzioni e all’annientamento di valori e principi unitari, conviene che si consolidino le due narrazioni italiane: la palla al piede del Sud, parassitario e consegnato alle mafie contrapposto al Nord operoso, che lavora guadagna spende pretende, condizionato e rallentato nel suo sviluppo da quella appendice ingombrante, collusiva, statica, cinica, passiva. Che conferma l’opinione non del tutto erronea che allo stato attuale, se non si cambia “regime” che ulteriori fondi non garantirebbero maggiore sviluppo del Mezzogiorno perché andrebbero ad alimentare altri sprechi e malgoverno locale e nazionale.
Probabilmente è arrivato il tempo di disfarsi del mezzogiornismo quella tacita alleanza tra politica nazionale e classe dirigente meridionale, che ha rinunciato allo sviluppo del Sud adottando un double standard, un relativismo etico e organizzativo: se la crescita del Mezzogiorno si rivelava troppo impegnativa e richiedeva intervento e riforme strutturali, ai governanti locali veniva concesso solo il potere di lamentare trattamenti iniqui e torti secolari.
Qualcuno ha detto giustamente che bisogna smettere considerare i cittadini del Sud cittadini a responsabilità limitata, eterni minorenni resi tali da assistenzialismo, mentalità arcaica, parassitismo, annientamento del senso civico. Mali esercitati ma in gran parte subiti nell’assenza dell’attribuzione di responsabilità alle classi dirigenti locali, nella dimissione dal vittimismo, nel rifiuto dell’affidamento al contro-stato criminale.
Certo gran parte del ritardo del mezzogiorno va attribuito all’esterno della società meridionale, con la complicità ottusa del resto d’Italia. Certo da tempo si sa che il problema del Mezzogiorno non è un problema di industrializzazione calata come una prebenda prima e di sviluppo economico dopo. E che serve invece una strategia coerente e armoniosa che combini crescita sociale ed economica con quella civile e culturale perché non è frutto di un felice automatismo che al benessere consegua un incremento di democrazia e cittadinanza. Così come per il resto d’Italia c’è poco da affidarsi a una entità salvifica e messianica. Non varrà un governatore persuasivamente profetico e visionario, né tantomeno l’Agenzia del Sud che piace a Tremonti, per rompere quella tentazione alla decomposizione con un Nord che somiglia a un grasso Belgio e un Sud con la coppola del mafioso. Perché quello che ci aspetta se incrementiamo la divisione e la defezione da una responsabilità nazionale che faccia del Mezzogiorno una colonia del disordine e della criminalità, peraltro intento a colonizzare regioni e aree con maggiore appeal, è che tutto il Paese diventi un fastidioso e mal sopportato sud dell’Europa, quello staterello fatto a stivale tollerato e deriso come il paese dei “loro stivali”