Anna Lombroso per il Simplicissimus

Si sa tutto è già stato scritto. Aristotele raccontando del conflitto tra Pericle e Cimone ci narra che il secondo disponeva di ricchezze principesche, offriva liturgie pubbliche e manteneva molta gente tra i suoi accoliti. Pericle che non poteva permettersi questi lussi svendette le cariche pubbliche dando origine alla corruzione dei costumi. Il consenso dunque fu acquisito con il patrimonio privato e con il patrimonio pubblico e in entrambi i casi a noi molto vicini si tratto dunque di corruttela.

Come allora sembra anche a noi che nella nostra democrazia sempre più rovesciata mediante un potere che procede dall’alto, il popolo non più ateniese, che anche lì non è che siano poi troppo bene, sia una massa di manovra da incantare e impiegare in una guerra tra oligarchi così bene illustrata oggi da il Simplicissimus che si svolge non dietro le regole, ma contro di esse, in luoghi e con mezzi con nulla hanno più a che fare con la democrazia.
E d’altra parte è il denaro che muove il mondo, un motore reso più potente oggi dalla sua immaterialità, uscito dai forzieri e diventato una forza incorporea che mediante lo spostamento di quote crea ricchezze e determina miserie al di sopra di confini e leggi, se non quelle del profitto. E dove il denaro è la misura di tutto, tutto è potenzialmente in vendita, compreso il sistema democratico, che può essere stravolto in oligarchia del denaro. Lo sapeva Petronio, lo prevedeva Mill e l’ha profetizzato più di uno scienziato triste, Schumpeter ad esempio, che indovinava nella democrazia un’indole incline a trasformare la lotta politica in une competizione tra élites per la conquista del mercato dei voti. E è per quello che il primo e più tenace impegno della plutocrazia oggi al governo è quello di svuotare alcuni strumenti giudiziari e penali, per rendere così legittimo non solo il circuito del commercio elettorale, ma ancor più per rendere accettabili setta non addirittura virtuose le commistioni della politica con il denaro, il mercato, la finanzia, il capitale.

Ma su questo punto va fatta una riflessione autocritica. Proprio Mill parlava del popolo in democrazia raccomandandogli di essere cittadini attivi, critici, capaci di organizzarsi per contare e dissentire in ogni campo. Per fare quello di cui sono capaci piuttosto che aspettare ciò che gli altri sono capaci di fare per loro. Eppure mai come nel rapporto con il mercato e con il sistema finanziario i cittadini hanno esercitato una delega tanto poco responsabile quanto rischiosa. Che contribuisce a motivare il successo e le conseguenti rovine della turbo economia e del sogno globale delle facili ricchezze immateriali. Non avevamo scelto la via rivoluzionaria ma avremmo potuto essere gramsciani invece non attaccando frontalmente lo Stato ma conducendo una lunga lenta e tenace guerra di posizione per conquistare le fortezze le trincee e la casematte della società.

Colpevolmente ci siamo distratti e astratti, accontentandoci delle nostre meschine accumulazioni di scala. E la disattenzione della sinistra ha pesato, quando era connivente, ma anche quando era innocente, motivata magari da un malinteso rifiuto a sporcarsi le man,i come se in una società complessa chi ha a cuore l’interesse generale diventasse vulnerabile, e quindi inaffidabile o corrotto, a causa del doveroso “interesse” al sistema economico. È stata così incrementata una scissione anche psicologica tra società civile e “sistema” politico, ma anche affaristico e economico, lasciando che venissero alimentati populismo, plebiscitarismo e facendo crescere fittizie mobilitazioni di massa contro fittizi nemici, inventati proprio dagli stessi poteri, per darci l’illusione di non essere “esclusi”.
Non abbiamo capito che se era necessario alla democrazia promuovere la connessione tra cittadini, società civile e stato, era rischioso escludere da questa circolazione le relazioni economiche. Se la democrazia è legittimata a governare lo stato deve esserlo anche a governare le imprese economiche. E non si tratta di “facce sognà” di possedere una banca, si tratta di essere cittadini partecipi, vigili e responsabili che vogliono decidere dei propri interessi. Un modo tutto contemporaneo ma forse molto antico di scardinare la tirannide, quella di Cimone e quella di Pericle.