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La differenza siamo noi

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Sembra non ci sia più niente di facile, salvo le ragazze di Arcore e i criteri per la selezione della classe dirigente. È sempre più arduo sostenere che non “sono tutti uguali”, che non sia vero che “destra e sinistra, tanto rubano tutti”.. nel sostenere la “grande difference “ penso di avere ragione per quanto riguarda il popolo delle sinistra e la gente della destra. Da una parte individui che, tramontate le ideologie del novecento, si riconoscono in alcune idee forti, che, malgrado l’età, rimangono luminose e radiose. E parlano di equità, solidarietà, libertà. Dall’altra persone che incautamente si sono fatte incantare da un sogno che in realtà non le riguarda, perché la visione cui aspirano i loro leader – disegni di accumulazione, profitto personale, affermazione prepotente ai danni di chi non fa parte del loro giro – non può né vuole soddisfare i loro bisogni e quelli delle generazioni future. E alcuni dei quali avvinti da messaggi che rispondono a istinti e sentimenti nutriti da frustrazioni, rancori, paure e diffidenza.

Poi possiamo anche aggiungere a mo’ di consolazione che un dirigente che si dimette da incarichi elettivi o di nomina è meglio di uno che sta incollato alla proverbiale poltrona, in favore del vento di maggioranza o di casta. Ma per il comune sentire non è così importante rispetto alla considerazione che, come è stato detto con un accanimento che fa rischiare l’assuefazione, che iige un sistema che induce corruzione e vulnerabilità ad essa, nel quale la cultura di impresa contemporanea insegna a affidarsi a pratiche sottobanco, perché la galera sembra un rischio ridotto rispetto a quello di realizzare e produrre. E dove la classe dirigente ha dismesso l’esercizio della politica e la cura dell’interesse generale, preferendo ad esse gli affari e in particolare gli affari propri.
Da noi è in uso una numerologia P2, P4, ho dimenticato i fasti della P3. E la cabala della corruzione enumera tangentopoli 1 e 2 e le conseguenti mani pulite.

Può essere un utile esercizio quello di esplorare caratteri e peculiarità delle onde ricorrenti del coniugarsi di prassi di governo e malaffare. Ma è certo che si tratta di una perversione fisiologica e naturale della democrazia, una patologia talmente prevedibile da essere stata ampiamente prevista da tutti i pensatori del buon governo. La democrazia è faticosa e disaffeziona così non mantiene le sue promesse. Come è stato profetizzato il tarlo che la corrode, insieme all’affievolirsi dell’amore che le portano i cittadini, consiste nella riduzione della cerchia del potere a una oligarchia sempre più ristretta intenta alla cura della sua sopravvivenza dorata e esclusiva. È così che la distanza dei due mondi, arcana imperii e noi, delude l’aspettativa primaria, disincanta il popolo, viene meno alla promessa di partecipazione alle decisioni pubbliche: scelta e controllo dei governanti, determinazione degli indirizzi politici, influenza diretta o indiretta sulle scelte collettive.

E d’altra parte le oligarchie nascoste o esplicite, per citare Montesquieu, rispondono a una legge perenne della storia: chi detiene il potere se non incontra limiti, è portato a abusarne. E il potere per queste cerchie costruite e finalizzate all’accaparramento di ricchezze, è quello illegale e corruttivo del denaro di cui si occultano la pretesa, il possesso e la detenzione per poter corrompere ogni ambito della vita sociale. E le oligarchie del nostro tempo non incontrano altri limiti se non quelli rappresentati da altre oligarchie. Hanno bisogno di privilegi cioè di leggi che valgano solo per loro, diverse da quelle che valgono per gli altri: i regimi dei pochi sono incompatibili con la legalità uguale per tutti.
È una delle declinazioni più brutte e potenti dell’iniquità questo essere disuguali di fronte alle leggi e differenti dagli elettori e dai cittadini. E che dà luogo a una miscela della quale nel nostro Paese si differisce sempre l’esplosione: l’estraneità dei cittadini al potere che nulla a più a che fare con il governo della cosa pubblica, e il suo sconfinare nell’illegalità e nella corruzione.

Ma c’è una distinzione da fare, una colpa in più da attribuire a questa maggioranza: il vilipendio continuato della costituzione, della sovranità popolare ridotta a conta dei voti, alla magistratura, all’informazione ha prodotto un impoverimento delle istituzioni e della loro autorevolezza, facendo, loro si, di tutta l’erba un fascio, promessa e premessa del fascismo. Occorrono istituzioni forti per consolidare nel tempo il contrasto alle involuzioni autoritarie e per ridurre la tentazione di violenza o per circoscrivere l’affermarsi subdolo di un disordine fatto di ingiustizia, incompetenza, malaffare, illegalità
Abbiamo sopportato troppo con un’accidia codarda e indolente, abbiamo subito una tendenza gregaria. Ma il gregge è un possibilità e una condanna, non un destino. Stanare loro dal buio segreto dei loro traffici e uscire noi dall’acquiescenza di convocati una tantum al voto e di creature condizionate e ricattate dal bisogno, è una possibilità. Che si pratica con la trasparenza, l’informazione e con l’imposizione di questi principi e di queste regole a chi si è garantito grazie al loro disprezzo.

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