Francamente i privilegi non mi sono mai piaciuti, nemmeno quelli  piccoli e tanto meno quelli meschini che non servono a nulla se non a dire “guardate chi sono io.” Non mi sono piaciuti ai tempi delle vacche grasse, figurarsi oggi. Però questa faccenda dei privilegi della casta rassomiglia un po’ troppo a una piéce teatrale, a uno di quei marchingegni informativi destinati a sollevare grandi fuochi di paglia  senza che alla fine nulla cambi.  E’ un po’ come il doping nel ciclismo: scandalizza ogni anno, ma non produce una moralizzazione.

Così prima abbiamo avuto il falso precario, adesso c’è l’onorevole Monai che come un pentito di mafia, rivela a un noto settimanale i segreti della buvette del Senato, i prezzi da mensa aziendale e la cucina da ristorante di lusso. Il fatto è che se i privilegi non mi piacciono, non gradisco nemmeno le prese per i fondelli: in particolare il fatto che ci voglia un eroico infiltrato per conoscere i prezzi della buvette che qualsiasi giornalista parlamentare può conoscere in dieci minuti.

E soprattutto non mi piace un Paese dove ogni due o tre anni scoppia uno scandalo sullo stesso argomento, come se chi ne scrive non sapesse nulla e chi legge non ricordasse nulla. In realtà sono vent’anni che ci si occupa a vario titolo e sempre in tono di scandalo di queste colazioni da Tiffany. Per rimanere alle cose più recenti c’è la spassosa richiesta di Buttiglione di avere anche i gelati alla Buvette del Senato. Ecco l’accorata lettera con cui monsieur le philosophe, assieme a una collega,  chiede ai questori di avere questo cibo degli dei:   “Ci rivolgiamo a voi con una richiesta di miglioramento della qualità della vita in Senato. La buvette non è provvista di gelati. Noi pensiamo che sarebbe utile che lo fosse e siamo certi di interpretare in questo il desiderio di molti. E’ possibile provvedere? Si tratterebbe di adeguare i servizi del Senato alle esigenze della normale vita quotidiana delle persone. In attesa di riscontro, porgiamo cordiali saluti”. 

Era il giugno del 2007 e mezza Italia lo spernacchiò a dovere per “la qualità della vita” e anche perché dietro il gelato venne la polemica sui prezzi irrisori e sulle concessioni alla gola dei parlamentari. Scriveva Repubblica: “Perché prima del gelato i senatori hanno chiesto e ottenuto le settimane gastronomiche regionali, e poi quelle dedicate alle province. Il collezionista dispone di fantastici comunicati ufficiali emessi nei momenti più delicati sulle degustazioni dell’agro pontino, “la seconda giornata sarà abbinata alla carne di bufala bianca”, oppure un dovizioso banchetto palermitano a conclusione del quale il presidente Musotto ha fatto presente uno slogan promozionale che a dire il vero lì dentro rischiava di suonare un po’ così: “Mangio sicuro, mangio meglio”. 

Dunque era tutto risaputo. E ancora di più lo si sarebbe avuto chiaro due anni dopo, nel marzo del 2009, quando il nuovo gestore della buvette (fra l’altro inglese, la Compass group) abbassò i prezzi del 20 per cento. Con grande scandalo, tanto che dovette intervenire Schifani per rassicurare che il menù sarebbe tornato al livello di prima (cosa che non avvenne se non un per giorno). Sempre Repubblica scriveva:  una spremuta da 1,20 euro a 92 centesimi; panino col prosciutto da 1,50 a 1,17; il tramezzino da 1,20 euro a 96 centesimi; il cappuccino da 0,70 a 58; il the con fette biscottate, gettonatissimo al pomeriggio dalle onorevoli senatrici, da 1 euro a 84 centesimi. E poi tutto giù del 20%, appunto, il liquore come l’aperitivo a 0,93, il pasticcino a 0,46, la birra a 1,60.  E giù un elenco minuzioso che va dai primi al roast beef. Era tutto noto senza bisogno di spie parlamentari e anzi, scandalo nello scandalo, venne intervistato un impiegato della buvette che rivelò: “La cosa veramente incredibile è che noi, al bar dei dipendenti al piano di sotto, riservato ai lavoratori, pagheremo adesso di più”. 

E che dire delle parole del senatore pidiellino Carlo Vizzini che con memorabile ipocrisia si lasciò scappare: “Chi mangia in buvette, contrariamente a quanto si pensa fuori, è un disperato come me, che mangia sempre in piedi come un cavallo perché non ha il tempo di sedere al ristorante”. La vita è agra si sa.

Anche quella di un Paese dove la memoria è corta come il suo futuro. E per rendersene conto non c’è bisogno di una spia.