In tutta sincerità non saprei dire se la battaglia contro la Tav in val di Susa sia dettata da interessi ambientali, paesaggistici o non piuttosto da preoccupazioni in merito ai valori immobiliari che saranno in discesa per tutti gli anni dei lavori.  Sarà che conosco alcuni ricchi e destrissimi della valle che sono tutti accanitamente anti Tav, sarà che forse mi piace un ambientalismo in grado di scegliere fra il danno di una linea ferroviaria e il beneficio di meno auto e meno aerei. Soprattutto meno camion perché la linea è concepita più che come alta velocità, come alta capacità di trasporto.

Lo confesso,  non sono un fan della decrescita che è forse la favola buona alternativa a quella maligna e assurda della crescita infinita, ma il problema non è questo: il problema è vedere le immagini delle cariche di polizia, le barricate, quella barbarie moderna che si condensa nei fumi dei lacrimogeni e nelle manganellate, in gesti che hanno le stigmate di una primitività non assopita, anzi risvegliata.

Qualche decennio fa scene come queste sarebbero state inconcepibili o forse si sarebbero viste proteste e cartelli al solo pensiero che la Tav non si sarebbe fatta, perchè i collegamenti, l’intersezione, l’uscita dall’isolamento erano visti come positivi e anche come fattori di benessere. Certo oggi molto è cambiato e la maggiore attenzione a un’armonia con l’ambiente e con gli uomini è sacrosanta. Tuttavia ciò che si è visto non appartiene a qualcosa che si oppone alla potenza degli interessi e del loro scatenarsi verso uno sviluppo a tutti i costi, anzi è il frutto di decenni di neoliberismo che ha dovuto puntare sempre più sull’egoismo e sulle divisioni, per poter dominare incontrastato.

Anni fa non si sarebbero viste scene del genere perché esisteva uno spirito che non si fermava davanti alla porta di casa, ma comprendeva anche un senso di appartenenza più ampia, nazionale, persino europea, ma anche a una classe, a un intreccio di pensieri e speranze, a interessi che potevano confrontarsi  su un piano più complesso. E forse si sarebbero visti cartelli di protesta contro la perdita di un’opera perché l’economia del Paese era sentita non soltanto come più globale e correlata, ma anche come molto più dinamica. Oggi dopo trent’anni di neoliberismo e venti di berlusconismo, ci si attacca alla rendita immobiliare, qui come altrove, come se ormai fossimo in un”economia di pura difesa messa contro un futuro inesplicabile e ostile.

Così la battaglia della Val Susa è  fra due egoismi, quello di una piccola comunità contro una molto più grande, che non hanno più un piano sul quale comunicare, incontrarsi e mediare: il tessuto di relazioni, di lotte, di contrasti, ma anche di prospettive e di futuro è stato spezzato, sottratto. In cambio di un eterno presente ricattatorio e senza una dimensione che non sia quella della paura. Così lo Stato esercita la propria forza, la propria violenza sui cittadini che dovrebbe difendere e i cittadini non si sentono appartenenti che al loro mondo circostante. Ed è così che la modernità di oggi si riempie di sassi, di di fughe, di scudi e di mazze come in un medioevo lucidamente attuato.