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Lettera aperta alla Hack: basta dogmi nucleari

Trovo riprovevole che una persona approfitti del suo nome e della sua credibilità scientifica per accreditare surrettiziamente  le proprie contestabilissime opinioni personali. E trovo ancor più sconveniente appellarsi alla razionalità per far passare le proprie convinzioni fideistiche.

Perché vede centinaia di persone gravemente contaminate, un pesante rischio statistico di malattie oncologiche che grava su centinaia di migliaia di persone, una vasta area off limits per una generazione, se tutto va bene, il mare radioattivo e 150 miliardi euro per risanare la centrale di Fukushima, sono fatti. Sono una “ragione” a cui lei contrappone una fede chiedendoci di crederle e basta sulla sicurezza delle centrali.

Anzi dirò di più ho avuto modo di notare nella sua improvvida intervista su Sky i segni di una vera e propria disonestà intellettuale. Già perché nella sua ansia di dimostrarci la verità del dogma, ricorre a un argomento non solo infantile ma platealmente sbagliato. Lei ci dice che ci sono altri rischi: e il Vesuvio allora dove si addensano molti centri urbani, non è anche quello un rischio?

Ovvio che lo è. Ma non è perché alcuni vivono in una situazione di rischio che diventa razionale e ammissibile che se ne aggiungano altri. Non le pare professoressa? O la ragione a cui si appella le suggerisce diversamente? Ma poi quando viene a parlare del rischio in sé  ci dice che i terremoti dell’intensità di Fukushima si verificano una volta ogni secolo, vale a dire con una frequenza media almeno tre volte superiore a quella delle eruzioni distruttive del Vesuvio. Dunque in una zona sismica, una centrale nucleare è più rischiosa di un vulcano particolarmente “cattivo” come il Vesuvio. Senza dire che gli incidenti nucleari non hanno necessariamente bisogno di terremoti come Three Mile Island e Chernobyl dimostrano. Le cause di un disastro possono essere molte e spesso inaspettate e del tutto impreviste dai progettisti.

Quindi il suo consiglio razionale è quello di dotarci di un certo numero di vulcani particolarmente pericolosi, invece di dedicarci alle energie alternative.  Bene ne prendiamo atto.

E non solo professoressa: negli ultimi 35 anni si sono verificati, su una media nel tempo di circa 300 reattori in attività, tre incidenti gravi (Three Mile Island, Chernobyl e Fukushima) oltre a decine di incidenti meno importanti e che tuttavia hanno avuto conseguenze locali non indifferenti, il che ci porta a dire che il rischio effettivo di incidenti  molto gravi è dell’ 1%, che sembra poco, ma in realtà è altissimo perché le conseguenze sono a lunghissimo termine, spesso globali e i costi per riparare al danno esorbitanti. Tutto questo a fronte di una produzione marginale di elettricità prodotta globalmente e del problema delle scorie. Quanti reattori vogliamo e quanti incidenti in più?

Quindi  mi sembra che sia proprio lei e non gli italiani a prendere le cose sottogamba e pretendere di farlo da una posizione di credibilità privilegiata. Purtroppo non sono molto abituato a dar credito all’autorità, ma alla ragione e agli argomenti. Non agli articoli di fede, come lei stessa insegna.

Perché vede, professoressa, la razionalità  è qualcosa di più ampio di ragionamenti circoscritti  e comprende anche la cura  per le persone, la custodia per l’ambiente, il tipo di sviluppo che si vuole e dunque anche la politica, i rapporti di produzione, la concentrazione o meno del potere. E tutto questo ci sconsiglia il nucleare che del resto nei  maggiori Paesi del mondo, Cina compresa, è ormai in secondo piano come ricerca, progetti e investimenti rispetto alle rinnovabili. Tutte cose che lei potrebbe apprendere   se solo avesse la bontà di leggere “The world nuclear industry status report 2010 – 2011”. Così tanto per parlare con qualche dato a disposizione invece di dedicarsi alle interviste e di riesumare miti degli anni ’60.

Chissà forse tutto il mondo sta prendendo sottogamba le sue indicazioni o forse non sta mettendo la razionalità sotto i piedi.

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