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La sindaca di buona famiglia

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non mi sono mai fidata delle ragazzone, versione femminile di boy scout irriducibilmente in età evolutiva anche con barbe irsute. Dei loro collegi che le hanno abilitate a dire idiozie consolidate in due o tre lingue. Della loro severità che poi alle feste, di quelle che si arrotolavano i tappeti e si abbassavano le luci, si stemperava in un abbandono un bel po’ grossier e molto goderereccio, dimenticato peraltro o rimosso il giorno dopo. Del loro romanticismo nutrito di fidanzatini di peynet e di apostrofi rosa. Dei lor tailleur giallo canarino che se li mette anche la regina Elisabetta allora sono eleganti e regali. Della loro beneficenza faccendiera e pietista condotta animosamente in collaudati territori tutti benvisti e lodati da stampa, autorità e affini altrettanto magnanimi. Del loro perbenismo ipocrita che intride scelte pubbliche e private e che le sospinge verso buoni matrimoni, bei gioielli, giocose presenze mondane e televisive indirizzate a far sospettare che dietro una certa frigidità si nascondano giacimenti di innocente sensibilità e umanità.

Così a differenza di molti non sono affatto stupita della sorprendente rivelazione della vera Letizia.
È che la sindaca impeccabile grazie all’aspersione di lacca che esubera ben oltre la proverbiale cotonatura, incarna perfettamente le menzogne convenzionali delle quali a qualcuno piace farsi convincere.
La prima, cara anche a un altro ex sindaco, è che chi nasce ricco non ha bisogno di rubare. Come se l’accumulazione e l’avidità fossero limitate e non si moltiplicassero perennemente e voluttuosamente, facendo dimenticare regole e leggi, che ai ricchi appunto sembrano fastidiosi laccioli. Magari non rubano, ma certo se ne ridono delle altrui proprietà e soprattutto dei beni pubblici che annettono allegramente ai loro patrimoni personali.
Un’altra riguarda l’archetipo delle sobrie dinastie imprenditoriali o finanziarie del nord, manco fossimo a Lubecca o a Amburgo, dove la borghesia illuminata in case comode ma discrete, dietro facciate severe nutrono costumi morigerati, rispetto per la cosa pubblica e visioni del profitto composte ed educate. Smentita anche in questo caso dal primato di Batman su Mann e da una inattesa dissipatezza per la campagna elettorale che ha avuto il sopravvento sulla tradizionale oculatezza.
Un’altra è quella secondo la quale dai e dai a forza di fare i manager, gli imprenditori e perfino i politici qualcosa si impara, come se l’esperienza potesse tranquillamente sostituire la competenza. Ipotesi di studio fortemente smentita di non glorioso passato della signora nelle sue varie declinazioni: manager, ministra, presidente della Rai, sindaca e si direbbe anche mamma.
E non parliamo della convinzione che alligna tra molte nostalgiche della supremazia di genere che oggi ripongono speranze perfino in Perina o Lei, secondo la quale una donna sindaco garantirebbe maggiore attenzione per i temi sociali, per il sistema dell’assistenza e della cura, per l’armoniosa qualità della vita e per la bellezza perfino in concomitanza per un Expo.
Ma la menzogna più radicata è quella secondo la quale buona famiglia e buone maniere siano un codice genetico che impedisce insolenza, ricorso alle bugie, che libera dalla paura tanto presente nelle nostre povere vite.
Letizia malinconicamente ha dimostrato di avere un così temibile timore di perdere, rinunciando così a privilegi, potere, licenza di sopraffazione in tailleur rosa confetto, da ricorrere alle più plebee e sgangherate cattive maniere, da ascoltare i peggiori cattivi consigli, da frequentare rentier e parvenu mutuando le loro abitudini più condannabili.
Le servirebbe di tornare in collegio, ma quello per signorine, non quello elettorale.

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