Ricordo le albe pigre della tarda estate e la Simca mille di non so quante mani che avevo dipinto personalmente di giallo canarino. La bassa ferrarese che scorreva densa e scura fino all’odore penetrante dello zuccherificio che fumigava. Per racimolare i soldi da usare l’inverno andavamo in quattro a lavorare alla campagna di raccolta e lavorazione delle barbabietole. Così come in primavera si andavano a distribuire i nuovi elenchi della Sip, di scala in scala fino a sfinirsi.

Ma era anche allegro quel lavorare perché io e gli altri sapevamo che si trattava di una parentesi, di una parentesi dalla quale si potevano imparare molte cose, mentre i lavoratori veri, quelli che ci dovevano vivere delle alzatacce e dell’anidride solforosa, non erano rassegnati all’occhiuto salario e alla zuccherosa caserma: avevano la volontà di migliorare di affermare nuovi diritti e nuovi trattamenti, avevano una speranza sociale.

Quindi con molta tristezza ho letto sull’Espresso on line la lettera di un ragazzo di oggi, studente come me allora, che mi sembra giungere da un altro mondo, da una prigionia della mente che mi era sconosciuta. E che ancora mi incollerisce.

Dopo aver fatto considerazioni sulle frottole che i media raccontano ai giovani e sulla differenza tra suo padre e lui, prende un sentiero che mai avrei immaginato:

“un giorno mi sono chiesto se è così ovunque, e me ne sono andato 4 mesi in Inghilterra a studiare, benedetto Erasmus. Un paese in grave crisi economica anche quello, si sa. Dopo 10 giorni di soggiorno ho ricevuto tre richieste di lavoro, senza nemmeno muovere un dito: lavorare in un pub in giorni scelti da me, agli orari scelti da me. Poi pullman gratis, cinema scontati del 60% e così via. Solo per i giovani. Ma non era la crisi il motivo del non-futuro dei giovani? Sono tornato in Italia e trasporti gratis, cinema gratis. Solo per i politici.

Credo che ormai un giovane debba smettere di protestare troppo, abbiamo visto che non serve, basta solo un piccolo spazio per potere inserire le nostre idee. Il problema è trovare lo spazio. Di certo non lo troverò accendendo la televisione, quindi la tengo spenta.”

Dio mio ma cos’è questo futuro? Gli sconti al cinema, il lavoro in un pub negli orari che vuoi e il computer come spazio per le idee o forse più realisticamente per il mugugno, visto che le proteste non servono? Capisco che in Italia bisogna sudare e trovare raccomandazioni anche per essere sfruttati, ma ciò che mi colpisce è l’assenza della dimensione politica, di quella corale e anche dello spirito di lotta.

Già, le proteste non servono, come se bastasse una giornata di manifestazioni per cambiare il mondo e quindi diamoci da fare a cliccare sul pulsante “non mi piace”. Possibile che non ci renda conto che le balle che si dicono sui giovani, come su tutto del resto, vivono all’interno di una menzogna madre che è quella del liberismo selvaggio, della svalutazione del lavoro, della perdita di dignità? Ed è quella che bisogna aggredire, non le abitudini dei proprietari dei pub che certo stendono tappeti rossi alla manodopera precaria, docile e persino riconoscente fornita da Erasmus.

Ai miei tempi ero perfettamente consapevole che il petroliere Attilio Monti, proprietario degli zuccherifici Eridania amava la manodopera stagionale che “non gli rompeva i coglioni”. Così come pretendeva che non gli rompessi i coglioni come praticante al Resto del Carlino.

Non ci dobbiamo stupire che poi anche da personaggi teoricamente di sinistra vengano fatte le spallucce al primo maggio o si spendano dichiarazioni contro gli scioperi: è proprio la dimensione politica e ideale che sembra ormai essere un cimelio, anzi qualcosa di persino fastidioso.

No, non basta rendersi conto che vengono raccontate balle, bisogna capire perché vengono raccontate e avere una propria verità e una propria speranza, costruirla assieme agli altri, avere consapevolezza dei bisogni collettivi e della collettività dei bisogni.

Così clicco sul Primo Maggio: mi piace proprio.