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L’era degli spaghetti-media

Anna Lombroso per il Simplicissimus

“Senza media indipendenti si rischia di fare la fine dell’Italia”.
Non si può non sentirsi umiliati dalla campagna pubblicitaria ideata dall’agenzia Serviceplan e lanciata dalle emittenti pubbliche tedesche ARD e ZDF. Lo spot, lanciato in occasione delle elezioni negli stati del Baden-Würtenberg e della Renania Palatinato e promosso su diversi quotidiani nazionali, presenta in primo piano una foto del nostro Primo ministro con il suo immarcescibile ghigno Sull’immagine campeggia lo slogan: «Una democrazia è forte quando ha media liberi». Siamo diventati più blasè evidentemente rispetto al pistolone nero e minaccioso adagiato, come direbbero le icone della gastronomia, su un letto di spaghetti, che anni fa ci aveva tanto sdegnati.
Alla foto del premier certamente non occorre aggiungere niente, né la rivoltella né gli spaghetti scotti: è al tempo stesso causa e testimonial esemplare dei mali italiani, è la connivenza con la mafia, l’innalzamento della tolleranza dell’illegalità, l’irrisione dei valori e dei capisaldi della democrazia, è la banalizzazione di un paese ridotto a stereotipo dell’anomalia, è l’irrisione delle nostre ricchezze: ambiente, cultura, arte, sapere a beneficio di miti estetici effimeri, artificiali e e mercenari come le ragazze che piacciono a lui.
Ma quella maledetta foto per me è invece più irritante di quella del Der Spiegel perché è assolutoria e diventa il ritratto della nostra clasa discutidora che abbonda di lamentele anche nel web e che nell’incarnare il male assoluto nel premier farfallone, si disfa delle proprie responsabilità e dei piccoli o grandi esercizi di complicità
Ed è un’abitudine peraltro cara proprio a quella stampa che teme di essere imbavagliata. Che sceglie quasi quotidianamente di esplorare assiduamente e tenacemente gli affaires di alcova di Berlusconi, persuasa che lo sdegno si accenda più cocente per i baci di Ruby al caprone che per quelli del caprone a Gheddafi e a tutti possibili tiranni ancora in sella, compreso che ne so il Nagorni Karabak o l’affine stato di Bananas, pensandoci più guardoni e benpensanti che consapevoli e morali.
È che i media italiani sono stati convinti anche troppo dalla formula di Canetti: il potere sta nel nucleo più interno del potere. Sono stati inebriati così dalla possibilità di compiere i passi del disvelamento e di oltrepassare gli stadi successivi tra l’invisibilità, le azioni che si svolgono nelle tenebre e la visibilità totale, tutto quello che avviene alla luce del sole.
Ma il nucleo di un potere di piccolo cabotaggio, intento alle miserie del profitto personale, perduto in commerci avvilenti di denaro, corpi e consensi comprati e venduti, una volta illuminato mostra la stessa pochezza e intride tutto di spregevole meschinità. Anche i suoi narratori che pur nello stato di embedded sono convinti che alzare le cortine sia sufficiente a testimoniare, informare e risvegliare l’opinione pubblica.
Solo chi non ha saputo registrare voci troppo inascoltate può sentirsi investito della missione di scuotere cittadini intorpiditi, solo chi possiede una così feroce assertività da ritenere che frequentare i palazzi dia anche la facoltà di interpretare il potere e il suo eterno gioco – può trasformare un dovere, quello della libera informazione, in un diritto.
Se siamo tutti in parte responsabili di sopportare un passato, un presente e un futuro così gretto senza speranze, senza morale, senza visioni radiose, qualcuno lo è di più.
Viviamo tra commentatori attenti che vengono continuamente sorpresi dagli avvenimenti, siano i cantieri infuocati della libertà nel Medio Oriente e nel Nord Africa, siano i rischi tutti prevedibili della scelta nucleare. Viviamo tra interpreti della modernità che si trincerano dietro i fogli dei loro giornali aperti a proteggerli da una informazione che sentono come nemica che circola in rete e che fa da ripetitore a formidabili fermenti e poderose aspettative di libertà, affrancamento e equità.
È che sono così innamorati dei loro comodi osservatori posti a distanze siderali da noi, garantiti magari da qualche sentenza che offre loro l’inamovibilità che non si accorgono che la loro reclusione nel potere li esclude dalla realtà. L’altra sera un serafico Santoro ha raccolto compiaciuto le confidenze del Ministro La Russa che ci teneva a dire che aveva atteso di essere proprio su quel palcoscenico per informare sulle richieste degli alleati. Non in Parlamento, no, a Annozero perché l’anomalia italiana è anche quella di aver trasformato le istituzioni in salotti televisivi e i giornalisti in Maria de Filippi.

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