Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ho una immagine precisa del neo ministro dei beni culturali, disegnata nel tempo nel quale era presidente della mia regione d’origine. Quella di un uomo ispirato dallo zeitgeist del regime, sempre affaccendato, a volte criticato perché le faccende non erano sempre “di stato e di governo”, cacciatore di ogni specie di selvaggina, ricco di famiglia come il suo contemporaneo sindaco di Venezia, quindi, a loro dire, meno soggetto alla tentazioni di guadagni illeciti, godereccio e edonista, gran mangiatore e, a suo dire, grande seduttore. Si non so molto dei suoi meriti politici, ho seguito con un certo interesse le sue battaglie personali contro la Lega pur convinta che si trattava solo di una guerra di bande e di regolamenti di conti nell’esercito nemico.
Ma oggi sorprendentemente mi trovo d’accordo con la sua decisione di “bocciare” il festival di Roma. Io mi considero fortunata per molti motivi, uno consiste certamente nell’essere nata a Venezia ed essere stata adottata da Roma, che si è rivelata accogliente e generosa.
Da vera zingara straniera in ogni luogo le amo entrambe egualmente, tanto la vera città dell’anima per me, la patria, sono i miei amori. Quindi la mia non è un’opinione di campanile. È che trovavo abbastanza degradante per la capitale del mio Paese correre alla rincorsa di esperienze consolidate, inseguire archetipi che trasmigrati a Roma finivano per diventare stereotipi ricreati in laboratorio.
È stata proprio la cifra dell’amministrazione Veltroni soprannominato da molti er Coca Cola, per via di quella affezione a un grande Paese del quale non conosce l’idioma, per una dinastia della quale avrebbe voluto ripetere i fasti leggendari e forse appunto per i sapori edulcorati, amati dai tanti che nascondono una mano di ferro in guanti prelatizi di velluto. E che ha dimostrato in quegli anni una vocazione irresistibile alla ripetizione nell’urbe dei casi di eccellenza e di successo testati felicemente altrove, tanto da rientare nella storia e nella memoria collettiva. A volte ho pensato maliziosamente che dipendesse dalle carenze affettive dell’unico orfano d’italia (a questa condizione infelice ha dedicato memorie libri film e tutta una narrazione verbale e scritta che per un bel po’ gli ha accattivato simpatie e consensi. Per un bel po’). Insomma me l’immaginavo che telefonava a Borgna: Gianni sai da piccolo avrei voluto sentire Elton ma ero orfano, non me lo potevo permettere. E Borgna: nun te preoccupa’, chiudo er Colosseo e te lo faccio veni’ a canta là dentro? Per te e pe le pupe..
Forse era così ma più probabilmente invece si trattava di un approccio un bel po’ provinciale, un modo di guardare a una capitale europea, che è stata una superpotenza, come fosse Macerata, per dirla con Flaiano, e lui un sindaco un po’ invidioso di fasti altrui che con poca spesa ne copiava i successi. Come fossimo al Caesar Palace di Las Vegas, o nella Venezia di Eurodisney.
E così Torino ha il Festival del libro? E giù a rifarlo anche lui. Venezia ha il Festival del Cinema e noi lo rifacciamo, con il red carpet, le approssimazioni di dive che parlano ciociaro, i flash, i biglietti omaggio per le varie corti. E se costa tanto, restituisce poco, si vedono film improbabili secondo quegli intenti di recupero di Franchi e Ingrassia, Pierino o Giovannonacoscialunga, non importa, basta con Fromm, l’importante è farsi vedere sul tappeto rosso globale ben più che esistere, essere, ragionare e far fruttare creatività e bellezza, quelle si vero Made in Italy.
Adesso resta da vedere se il corpulento e dinamico neo ministro saprà indirizzare meglio risorse e mettere in campo forze, anche recuperando i naufraghi scampati a Bondi.
Quando ero in un autorevole quotidiano venni censurata per un titolo che mi pare invece ancora calzante: il sonno delle regioni genera mostre. E c’è da lavorare anche per dare vita a un disegno coordinato, organico e pensato con respiro ampio e non provinciale appunto, delle manifestazioni e degli eventi di una cultura impoverita e ferita da un governo che ha impoverito il nostro futuro con tagli e manomissioni di bilancio, ed anche favorendo un approccio localista. E una visione meschina della storia e della memoria del paese mutuata dalle trasmissioni di Mengacci, fatta di campanili e di divisioni, di Barbarossa e ampolle, di risse tra rioni e di gare ma quelle degli sprechi.