Finora siamo stati civili, siamo stati educati, siamo stati anche un po’ troppo in una torre d’avorio dalla quale pareva che non fosse necessario rispondere a qualsiasi provocazione per quanto rozza e barbara. E ci si è accontentati di rimanere fra noi. Nel club esclusivo del bon ton, delle citazioni colte, del linguaggio debole.

Però dobbiamo prendere atto di una cosa: l’inciviltà quella vestita da Caraceni o quella delle camicie sudaticce dei leghisti, possiede il mainstream della comunicazione e  l’ha imposta come normalità, come stile di pensiero se si può considerare tale la surfetazione di luoghi comuni e di insulti che presiede ogni discussione politica. Ogni spot governativo.

Eppure invece di replicare duramente, senza se e senza ma,  ogni volta che la convivenza civile e le istituzioni vengono fatte a pezzi dai caimani di regime, sembra che ci si impaurisca e si cerchino vie d’uscita improprie e compromissorie. E che al massimo ci accontenti di un indignato silenzio o di un arzigogolato argomentare.

Per un paradosso a me incomprensibile si grida alla battaglia solo quando è sicura che sarà persa: cioè fidandosi solo dei numeri in Parlamento. Che poi a volte sono anche piuttosto ballerini a causa di ambigue assenze. Nonostante sia ormai chiaro anche a un cieco e sordo che il Parlamento è largamente il prodotto della legge elettorale: un consesso dove la maggioranza politica si acquista.

Ultimamente si è persino proposto un patto a un partito secessionista e dagli accenti persino golpisti. Promettendogli in prospettiva più potere. Gli accenni ad immaginari fucili ed eserciti che escono dalla fantasia malata e infantile del clan leghista, meriterebbero ben altre parole, parole che essi possano capire proprio bene: “Provateci e vi facciamo un sedere più flaccido del Cavaliere”. Oh si, risposta rozza, ma sono disposto a scommettere preziosi (vabbé ogni tanto esagero) apparati, che se fin da subito li si fosse trattati così, non si sarebbero mai permessi le loro digressioni da suburra.

Perché la volontà di opporsi con tutti i mezzi sarebbe stata chiara a quelli che apprezzano e che capiscono questi linguaggi a quelkli che li anno introiettati. E a cui invece pare che le risposte civili siano in realtà un segno di timore e di resa. A la guerre comme a la guerre. La ricivilizzazione  è un compito che toccherà al dopo e dio sa quanto sarà lungo e faticoso: ora però bisogna rispolverare  vigore e decisione, cominciare ad intimidire che pensa di fare carne di porco del Paese. Un po’ di sana barbarie non fa male, soprattutto se si tratta di respingere quella sostanziale. E’ almeno una barbarie dal volto umano.

Altrove questi fenomeni vengono isolati e alla fine lasciati a crogiolarsi nel loro brodo. Ma da noi dove si è concesso ad una parte, quella più corrotta e quella più estrema, di avere in mano tutta l’informazione, gli isolati finiscono per essere gli altri, ovvero la sostanziale maggioranza.

La disponibilità al dialogo metodologico con persone che  lo usano per fregarti oppure non sono proprio in grado di praticarlo, alla fine è perdente, è un esercizio inutile contro i tartari. E alla fine potrebbe essere proprio una malintesa civiltà, ad essere una barbarie.