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All’armi son sfascisti

Anna Lombroso per il Simplicissimus

“Chiedere aiuto a Gheddafi per la secessione? Abbiamo tanti uomini e armi”. Bossi proclama e Maroni il fenomeno lo interpreta, non si sa se perchè uno è Allah e l’altro il suo profeta o perché hanno visto troppi telefilm americani col poliziotto buono e il poliziotto cattivo.

Per tranquillizzarci  il ministro precisa: voleva dire che le armi  non le dobbiamo importare perché ce le  produciamo  in Lombardia. Golpisti ma autarchici, insomma.

D’altra parte si tratta di prodotti collaudati, visto che il nostro Paese ha rifornito i despoti più sanguinari del pianeta. Si tratterebbe   di una partita di giro, magari a beneficio della polizia di casa nostra – amministrata dallo stesso ministro   delle tre carte – che da tempo denuncia  di non poter garantire  l’ordine pubblico  “perché sono finiti i proiettili di dotazione”.

E’ che non c’è più sordo di chi non vuol sentire. Così in una spirale di silenzio e di sottovalutazione la Lega è stata di volta in volta liquidata come un fenomeno di folklore, poco offensivo della democrazia; ammirata per il suo radicamento nel territorio; oggetto di processi imitativi, se autorevoli rappresentati dell’opposizione hanno più volte ventilato l’opportunità di fondare partiti del nord;  rispettata per il talento di aggregare consensi. E molti, troppi, a cominciare dal poco lungimirante d’Alema, hanno elargito  espliciti quanto azzardati riconoscimenti della sottintesa fedeltà alle istituzioni, sia pure un po’ casereccia, e della sua matrice antifascista.

Bastava saper guardare e ascoltare per capire che si tratta invece di un movimento sfascista,   razzista e xenofobo. Che ha intriso l’esercizio della politica e la pratica governativa di scissionismo, iniquità, autoritarismo dirigista,  integralismo ottuso e feroce, ignoranza e odio per la bellezza e il sapere, inclinazione all’oblio e tendenza alla mistificazione della memoria, della storia e della tradizione, e quindi della cultura, irrisione delle istituzioni e del parlamentarismo e derisione della costituzione.

E a proposito di armi la Lega ha rappresentato il braccio muscolare becero e armato del berlusconismo, funzionale alla realizzazione sul territorio – nel quale si è radicata davvero, in nome e in rappresentanza delle pulsioni più bieche e infami – di un disegno di regime improntato al particolarismo e al personalismo, disinteressato al bene generale, indifferente al rispetto delle leggi e intento allo stravolgimento di regole e legittimità. E che alimenta sapientemente diffidenza, paura e sospetto per annegare in una sicurezza artificiale, garantita da vigilantes, barriere dentate, tornelli, coercizioni e prevaricazioni – oltre che da una flessibilità che produce esclusione, incertezza e discrezionalità ingiusta – e in un marasma di passioni tristi, quelle condizioni di disuguaglianza nelle quali prendono il sopravvento l’emotività, l’irrazionalità e di conseguenza l’autoritarismo e la repressione.

Sottovalutarli come fenomeno pittoresco non è stato un errore, è stato un crimine, contro la democrazia e il nostro futuro di equità e  libertà.  Perché un golpe di straccioni vocianti parolacce e insulti da ubriachi non è meno pericoloso dei quelli dei colonnelli o una insurrezione agitata   e mossa da quelli che sono stati definiti i capitalisti molecolari o il popolo delle partite Iva, peraltro poco avvezzo a pagarla,  è meno cruenta per l’interesse generale e l’armonia sociale della marcia su Roma.

Ed è bene ricordarsi che l’arma preferita dalla Lega non è il fucila ma l’egoismo. Un egoismo “politico” che alimenta quello individuale.

Mentre in tutto il mondo e nelle attività economiche la tendenza è allo sviluppo in spazi sempre più vasti, utili anche alla valorizzazione del sapere e alla circolazione delle informazioni e delle conoscenze, c’è chi cerca ed esalta una esistenza in contesti sempre più piccoli, una “casa sua”, nella quale sviluppare una miserabile e risentita custodia di piccoli miopi privilegi contro chiunque sia altro da sé. E alimenta un concetto di  appartenenza autolesionista e vecchia, quello di una riappropriazione di condizioni idilliache del passato, che in verità consegna a nuove dipendenze.

E la loro modernità assomiglia infatti ed è funzionale a quella di Marchionne, dove il mantenimento del “posto” è sottoposto al ricatto della rinuncia ai diritti, dove i valori e le conquiste sono insidiate dalla minaccia della perdita del salario,  in una “società del lavoro  nella quale è venuto meno il lavoro”  e che mette gli uni contro gli altri nella tremenda rottura dei patti tra generazioni e tra cittadini.

Ultimamente si è visto nelle piazze della rabbia un cartello, che rappresenta la più efficace analisi politica che si possa compiere: “bastava non votarli”. Facciamogli deporre le armi, anche quelle dei voti, quelle delle chiacchiere perché tutte sono persuasive di illiberalità  e violenza, nessuna deve rappresentarci,  tutte attentano alla democrazia e alla concordia.

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