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La Caporetto di Libia

Niente come la tragedia libica è efficace per descrivere lo stato confusionale in cui versa l’Italia, nulla ci squaderna con più evidenza il declino a cui ci ha portato Berlusconi e la sua banda di corrotti. Il quadro è drammatico perché comprende la politica estera e quella interna, lo stato della democrazia, le intenzioni autoritarie e il grado stesso della nostra civiltà come Paese. Un insieme che scopriamo affogato dentro gli affari delle cricche, le speculazioni personali, le menzogne e le ipocrisie che sono gli unici fatti su cui il Cavaliere ha seriamente lavorato.

Partiamo dagli aiuti umanitari partiti in fretta e furia al grido “aiutiamoli lì”, una delle tante frasi acchiappa pance che costituisce il vertice estremo dell’umanesimo leghista. Pochi ricordano – e nessuno mi pare che lo abbia fatto in questi giorni – che nel famigerato trattato con Gheddafi era previsto che l’Italia varasse un piano di centri accoglienza e di aiuti nei confronti dei migranti che si ammassavano ai confini della Libia nel tentativo di passare il mediterraneo.

Ma ce ne siamo completamente fregati: abbiamo lasciato che il tiranno di Tripoli torturasse e uccidesse, imprigionasse a suo piacimento senza muovere un dito. “Aiutiamoli lì” non valeva mezzo euro fino a venti giorni fa, prima della grande paura dell’invasione.

Dove è stato per due anni Maroni che ora tenta di buttare sulle spalle dell’Europa il fallimento del governo e della Lega in primis. E anche suo personale? Ma tanto con le televisioni si può far credere di tutto. A tal punto che ormai si pensa di poter raccontare frottole a chiunque: così il ministro tastierista, un dilettante per vocazione in tutto, si è preso a Bruxelles del pataccaro. E oggi vaneggia di terze guerre mondiali, come se fosse un ubriaco al pub, scoprendo l’absolute beginner che è in lui.

Il trattato faceva dell’Italia il partner privilegiato della Libia, talmente privilegiato che per giorni abbiamo sostenuto, il tiranno di Tripoli,  in totale contrasto con l”Europa e gli Usa. Così da essere fotografati nel quadro d’insieme delle autocrazie mondiali, Putin in testa. I regimi con cui del resto facciamo affari o in ogni caso qualcuno fa lucrosi affari. Persino la Marcegaglia che non perde occasione per ocheggiare, si è distinta nell’agone: del resto le sue aziende sono in poole position per accaparrasi una fetta dei cinque miliardi che avevamo promesso al dittatore e da spendere in opere stradali e murarie.

Eppure questo rapporto speciale oltre a non essere servito a nulla per capire cosa si muoveva sotto la pelle del regime, oltre a farci ridere dietro per aver ospitato il barnum beduino di Gheddafi, si è ritorto contro di noi: l’aver tentato il sostegno al dittatore ci ha escluso dal dopo che sarà faccenda di Francia, Gran Bretagna e  Usa, oltre che di Russia e Cina su un fronte più globale e alternativo. Bel risultato per chi si riempe la bocca di quei tristi slogan tipo “padroni a casa nostra”: abbiamo raggiunto l’obiettivo di farci mandar via dalla soglia a calci nel sedere. Che adesso è decisamente flaccido.

L’insieme di queste brillantissime manovre è condito da una sordida xenofobia di fondo che mentre non si occupa affatto di affrontare i problemi concreti dell’immigrazione, viene utilizzata per il consenso interno, portandoci però disonore e anche ridicolo all’esterno.

Questo del resto accade quando un Parlamento viene di fatto esautorato, le decisioni vengono prese in funzione di affari privati o al massimo di ragioni di consenso populistico. E quando i deputati e senatori non sono altro che impiegati con contratto a  progetto.

Può anche darsi che a molti italiani di questa democrazia dimezzata non gliene freghi nulla. Perché sono essi stessi così dimezzati da non capire che la democrazia vera è spesso un affare. E quella falsa un raggiro.

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