Anna Lombroso per il Simplicissimus

Le sue esternazioni sono ormai talmente sgangherate, infami e paradossali che il dire ci disturba più del fare e le invettive, che si concludono con l’inevitabile invito al rito collettivo del bunga bunga, ci indignano più della riforma Gelmini, “deformatrice” del sistema dell’istruzione in Italia.

Si è detto giustamente che il delirio del despota, che prende a calci lo stivale come Chaplin dittatore fa rotolare il mondo, rappresenta il sostanzioso paniere di beni pubblici che il premier più peccatore degli ultimi 150 anni offre come personale regalia alle gerarchie vaticane in cambio di un appoggio. E il prezzo del conenso della classetta dirigente dei partiti e partitini, attrezzi superstiti del clericalismo e della conservazione più retriva in materia di temi etici “sensibili”.

E gli uni e gli altri sono entusiasticamente inclini a contestualizzare.  E senza patteggiare lo assolvono a priori come lui vorrebbe succedesse anche in tribunale. Così legittimano il più corrotto degli italiani a impartirci lezioni morali ed autorizzano il presidente del consiglio di una paese, la cui democrazia si fonda su una carta innervata dei valori dell’equità e della solidarietà, a promuovere la privatizzazione di un bene pubblico e a dequalificare i contenuti di una istruzione ispirata al rispetto, alla formazione comune e al riconoscimento dell’altro.

Ma io consiglierei di non fermarsi a questa interpretazione, che mette in luce un aspetto tattico ma forse marginale dell’atteggiamento recente di Berlusconi intento a dare qualche contenuto “politico” alla sua aggressiva riscossa.

Le esternazioni del presidente rappresentano convinzioni e principi forti del governo ed è bene ricordarlo a chi pensasse che un Tremonti un Maroni insomma una successione “interna” sarebbero accettabili se non addirittura desiderabili, perché l’importante è abbattere il despota.

È un caposaldo di questo governo, che interpreta con modi e parole d’ordine espliciti la destra più conservatrice, parassitaria e estranea a una modernità fatta di pluralismo, universalità e eguaglianza, ridurre la famiglia a slogan propagandistico, penalizzandola e isolando chi la vive in modo non strettamente convenzionale.

I detentori di una idea forte di famiglia – come prima il partito politico cattolico che per tanti anni aveva governato il Paese – non vogliono sviluppare politiche di sostegno neppure nei confronti del modello di famiglia da loro promosso e pubblicizzato: quello basato sul matrimonio e sulla filiazione legittima, su rapporti asimmetrici tra uomo e donna e su forti solidarietà intergenerazionali. In modo che tutti possano contare su questo tipo di organizzazione declinando intorno ad essa i tempi scolastici e di lavoro, le forme e le procedure dei servizi sociali e dell’accudimento.

Le famiglie in sostituzione del welfare, si sono fatte e si fanno carico del benessere dei loro componenti con effetto di larga interdipendenza tra le generazioni, sovraccariche di responsabilità e lavoro e di una riproduzione nel futuro dei fattori di disuguaglianza. Con un risultato non solo di carattere economico sui conti del sistema paese, ma anche di controllo sociale, di perpetuazione di ruoli, di consolidamento dei meccanismi di assistenzialismo a disposizione solo delle organizzazioni “domestiche” convenzionali.

Insomma le concezioni forti e univoche delle famiglie che piacciono al governo sono funzionali al contenimento della spesa pubblica, grazie al welfare fai da te, e al tempo stesso riducono le responsabilità collettive soprattutto quelle verso le generazioni future. Proprio a questa concezione “utilitaristica” si deve l’attribuzione del primato e dell’unicità alle famiglie eterosessuali, famiglie doc, sane e giuste secondo chiesa e governo, quelle fondate sul matrimonio cui si riconosce un progetto, una condivisione di aspettative e di valori e dunque una costituzione morale. Che viene negata ad altre forme di convivenza, siano esse tra eterosessuali o omosessuali, discriminandole e collocandole in condizione di inferiorità perché nell’impero dell’egoismo non si attribuisce valore all’amore e alla solidarietà tra individui e tra individuo e collettività.

Perché agli esponenti del partito dell’amore, alla morale della maggioranza, non piace quella che Anthony Giddens ha definito la “democrazia dei sentimenti” nella quale hanno uguale diritto di cittadinanza una pluralità di forme relazionali fondate su rapporti e aspirazioni tutti ugualmente suscettibili di essere riconosciute e tutelate. No, non piacciono perché appunto parlano di uguaglianza, di democrazia, di libertà. e di felicità. E quindi di forme d’amore a loro estranee e sconosciute.