Ugo Genesio* per il Simplicissimus

Riferendomi alla sottostante risposta del prof. Bedeschi a una mia precedente lettera sulla posizione della magistratura, che il capo del governo insiste a definire un “ordine” come quelli degli ingegneri e dei farmacisti, ho ritenuto opportuno un approfondimento sulla questione, tenuto conto anche del  preoccupante silenzio delle opposizioni.

Queste sono le parole di  Bedeschi. “Se i Costituenti avessero voluto affermare che la magistratura è un potere, avrebbero scritto: “La magistratura costituisce un potere autonomo e indipendente da ogni altro potere”; e invece hanno scritto: “La magistratura costituisce un ordine autonomo”,ecc. Al presidente Genesio non viene il sospetto che c’è una bella differenza fra le due formulazioni? Una differenza  che non ha certo solo un valore “puramente storico”. Quanto alla soppressione, avvenuta nel 1993, dell’istituto dell’autorizzazione a procedere (da parte del parlamento), siamo d’accordo: ma proprio questo era il problema di cui io parlavo”.

Ed ecco la mia risposta

La Magistratura all’Assemblea Costituente

L’operazione politico-mediatica con cui da tempo si cerca di ridimensionare il ruolo della magistratura nel nostro ordinamento costituzionale ha riscoperto ultimamente la vecchia tesi che la magistratura non costituisce un potere, perché in uno Stato democratico-liberale “il potere è sempre e soltanto politico” in quanto fondato sul consenso: e quindi, “quando si parla di divisione dei poteri si dice cosa profondamente fallace”. Ne sarebbe riprova il testo della nostra Costituzione che non parla di potere, bensì di ordine giudiziario (art.104).

Al mio rilievo che proprio il testo dell’art.104 della Costituzione (per cui “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”) porta a diversa conclusione, perché se la magistratura è indipendente dagli “altri” poteri ciò significa letteralmente che essa stessa è un potere, il professor Bedeschi mi ha cortesemente risposto che se i costituenti avessero voluto configurare la magistratura come uno dei poteri dello Stato lo avrebbero scritto e invece l’hanno definita un “ordine”, che è cosa ben diversa.

Mi pare che la questione sia importante e meriti un serio approfondimento, anche e soprattutto nel contesto delle discussioni in corso sul ruolo della magistratura e nella prospettiva dei progetti di una cosiddetta “riforma della giustizia” volta a correggere quel “rapporto squilibrato” fra giustizia e politica che costituirebbe “l’anomalia del nostro sistema liberale.”

Lasciando alla competenza specifica di politici e politologi la valutazione di tali discussioni e progetti, penso che valga la pena rileggere i verbali dei dibattiti in seno all’Assemblea Costituente (Legislature.Camera.it ‘Assemblea Costituente’) da cui sono scaturite le vigenti norme costituzionali riguardanti la magistratura per gli aspetti di straordinaria attualità che essi presentano. E qui un dato emerge con assoluta evidenza: tutti gli interventi, senza distinzione di parte, muovono dal presupposto di una  magistratura configurata quale potere dello Stato, sullo stesso piano formale del legislativo e dell’esecutivo.

Si legge nella Relazione della Commissione dei Settantacinque che illustra il progetto di Costituzione, presentata dal presidente Ruini nella seduta del 6 febbraio 1947: “Per adempiere il mandato che esercita in nome del popolo la magistratura è autonoma e indipendente. Non è soltanto un ‘ordine’, ma è sostanzialmente un ‘potere’ dello Stato, anche se non si adopera questo termine neppure per gli altri poteri, ad evitare gli equivoci e gli inconvenienti cui può dar luogo una ripartizione teorica, ove interpretata meccanicamente”.

E tuttavia anche questa giustificazione fu criticata nella maggior parte degli  intervenuti. “L’espressione ‘ordine giudiziario’ – osservava il socialista Persico – ricorda troppo lo Statuto albertino e le ragioni per cui quello Statuto preferì parlare di ‘ordine giudiziario’. La giustizia si amministrava in nome del Re; l’ordine giudiziario era l’esecutore della giustizia reale.” Anzi, “il potere giudiziario… è forse anche più importante del legislativo e dell’esecutivo, perché assicura a tutti i cittadini la tutela delle loro libertà, la difesa dei loro diritti, la protezione dei loro interessi; è il potere classico, il potere fondamentale, il più antico e il più geloso.” Per cui, in linea con la posizione espressa da Giovanni Leone, si affermava la piena “autonomia del potere giudiziario rispetto agli altri poteri statali, perché in questo modo si slega l’organizzazione del potere giudiziario da quella degli altri rami funzionali, in modo  che questo potere non sia una forma di burocrazia qualificata … ma sia qualche cosa che ha un’essenza sua propria, in quanto amministra quella suprema funzione che è la giustizia”.

Per il democristiano Cappi era “più che altro questione di nomi”. “Vi è nella nostra Costituzione” si domandava Cappi “un potere che sia costituzionalmente superiore a quello giudiziario? Non vi è. Quindi mi sembra che l’indipendenza costituzionale del potere giudiziario sia nella nostra Costituzione garantita, anche se non si usa la parola ‘potere’, come non si è parlato di potere legislativo e di potere esecutivo, ma di ‘Parlamento’ e di ‘Governo’”.

Un altro democristiano, Monticelli, sosteneva “l’esigenza dell’indipendenza del potere giudiziario… perché non si possono difendere i diritti e le libertà dei cittadini se non con una Magistratura autonoma e indipendente … Questa è una delle ragioni d’essere della divisione dei poteri, e da questa divisione discende l’indipendenza della Magistratura”. E puntualizzava: “La teoria della divisione dei poteri, trasmessaci dall’illuminismo del ‘700, rimane ancora oggi la più rispondente all’essenza delle istituzioni politiche che regolano la vita dei popoli, la più feconda di risultati pratici, la più consona alla vita di uno Stato  democratico. Se il potere legislativo è la fonte stessa dell’ordinamento giuridico e se il potere esecutivo promuove l’azione del potere legislativo e del potere giudiziario, quest’ultimo svolge la sua attività controllando gli altri due. Perché questo controllo sia perfetto è necessaria l’indipendenza assoluta della Magistratura”, che deve essere posta in grado “di arrestare l’azione illegale di qualsiasi organo dello Stato, eliminando ogni arbitrio da qualunque parte esso provenga… ogni abuso politico, legislativo o amministrativo, ogni ingiustizia particolare o generale”, altrimenti “la dovuta garanzia verrà a mancare alla libertà del cittadino, che si troverà esposto alle mutevoli oscillazioni delle forze politiche, o peggio all’arbitrio di possibili dittature”.

Vari altri interventi fanno riferimento alla teoria di Montesquieu, quella che il liberale Bellavista definisce “la santa divisione dei poteri” contestata dal fascismo sull’assunto del senatore Chimenti, “che il potere è uno, che ci vuole un’osmosi e un’endosmosi tra gli aspetti di questo potere statuale”. Commenta il Bellavista: “Poi l’’anticristo’ ha fatto il resto, la critica di Montesquieu è sboccata nel totalitarismo, la libertà si spense”.

Anche per il repubblicano Macrelli “sarebbe stato opportuno parlare di potere”, considerato che “tutte le Costituzioni, le libere Costituzioni dei popoli liberi, parlano di un potere giudiziario,” e tuttavia “l’importante è che la Magistratura abbia la sua autonomia,” da intendersi come “indipendenza assoluta… Innanzitutto, indipendenza da ogni potere politico, e mi riferisco tanto a quello esecutivo quanto a quello legislativo, perché anche quest’ultimo può esercitare la sua influenza, soprattutto quando il sistema parlamentare traligna nel parlamentarismo: facili le influenze, facili le suggestioni”.

Ma quasi tutti gli interventi insistono sul ruolo costituzionale della magistratura e sul valore essenziale della sua indipendenza. “Sarebbe enunciazione puramente accademica” osservava il liberale Bozzi “l’affermazione dei diritti di libertà… se nella Costituzione non forgiassimo in pari tempo uno strumento valido, che sapesse darne garanzia a tutti i cittadini ed a ciascuno di essi, se occorre anche contro lo Stato, quando lo Stato dei diritti e delle libertà dei singoli si facesse violatore”. Concludeva Bozzi: “Il potere giudiziario è un potere dello Stato perché è una manifestazione della sovranità dello Stato”. E Castiglia: “La giurisdizione mira alla stessa conservazione dell’ordinamento giuridico e, quindi, dei presupposti che regolano la vita politica e garantiscono la libertà del Paese. Non è dubbio che il potere giudiziario, attraverso i suoi organi, costituisca il miglior presidio e la migliore garanzia alla realizzazione della giustizia, senza della quale non può parlarsi di libertà”.

Significativo il ripetuto richiamo (Monticelli e altri) al memorabile discorso di Zanardelli sull’indipendenza della magistratura (1903): “La Magistratura è la custode, la difenditrice e vindice di tutti i diritti e dei doveri di tutti,”  dipendendo dalla sua azione la vita, la libertà, la proprietà e l’onore dei cittadini. “Il decoro stesso, la grandezza delle Nazioni si misurano dall’autorità, dal rispetto che ottengono i magistrati, dalla fede in essi riposta, dal grado di elevatezza nel quale sono collocati nell’opinione del popolo”.

In conclusione, mentre nessun dubbio si giustifica sul contenuto e sul significato delle norme riguardanti la posizione della magistratura nel sistema costituzionale, mi sembra che i lavori dell’Assemblea Costituente da cui trae origine la nostra democrazia offrano spunti di riflessione da non lasciar cadere in un momento di grave difficoltà delle nostre Istituzioni.

* Presidente aggiunto onorario della Corte Suprema di Cassazione