Anna Lombroso

per il Simplicissimus

Il mio pro-prozio molto oltraggiato e legittimamente disapprovato anche in famiglia, dove si narra venisse chiamato il demente, soprattutto per via quella sua criticabile abitudine di custodire cervelli in un boccaccio ben in vista sul troumeau, oggi ci verrebbe buono.

Si potesse richiamare tra noi per una sera grazie ad una di quelle sedute spiritiche cui si dedicò con puntigliosa e onnivora curiosità parascientifica, lo sottoporrei a una visione dei vari talk show con l’intento di avere da lui una lettura fisionomica delle figurine del “museo delle cere” della politica. E in particolare delle facce delle supporters del sultano. E magari anche della loro gestualità.
Tutte ispirate da una sempre più nervosa e virulenta vis polemica e dinamica che assomiglia a quella del loro osannato leader che ha pensato in tempi per lui migliori,  di ingannarci nascondendo ritardi ed inazione, inadeguatezza ed incapacità dietro la cortina fumogena di un iperattivismo, che, abbiamo appreso,  esercita anche in altri contesti. Per lui da sempre mi accade di immaginare, o forse auspicare, un fine vita in uno di quei mostruosi manicomi del pre-Basaglia, impegnato a ripetere coattivamente gestacci e pratiche onaniste; o naufrago in una specie di nave dei folli, esemplare del precipitoso declino nella pazzia di un ometto basso che, forse proprio per quello, si credeva napoleone.
Ma anche le signore recano in volto segni ormai inequivocabili di essere uscite di senno, di essere alla mercè dello stato confusionale indotto dalla disperazione di chi sta per essere travolto dalla fine del basso impero. E poco fanno gli espedienti chirurgici e chimici, che tengono insieme provvisoriamente lineamenti pericolanti, bocche rigonfie, ma stirate ormai dall’astio, occhi già sbalorditi dal lifting e ora congelati nella sorpresa del tragico dissiparsi del loro sogno spietato di opulenza e potere. Che finora aveva comprato anche una giovinezza artificiale trasferita ormai in una vecchia inquadratura televisiva piuttosto che in un ritratto.
Facce lisce confondibili e scambiabili tra loro e inesorabilmente inespressive, salvo quando le loro maschere si squagliano nella ferocia del risentimento o nell’urlo sgangherato che profetizza la sconfitta, chiamate a testimoniare di una supposta altra femminilità presente nelle stanze del potere, prepotente, arrogante, egotica, avida, ottusa e irrispettosa, tracotante, che rappresenta l’altra metà del cielo del premier e dei suoi famigli, l’altra parte simmetrica della mela della loro yubris, forte coi deboli debole coi forti.
Non erano tutte eleganti le donne in piazza, non erano tutte giovani, non erano tutte lisce e tirate. Liftate e eternamente giovani, grazie al patto con un diavolo ormai precipitato nel ridicolo.

Ma abbiamo una bellezza più duratura, più potente, quella che viene dal vivere  una vita vera e non solo rappresentata,  quella per i diritti di tutti e per il diritto ad un futuro, innocente e radioso, che si costruisce con la forza delle idee, con le carezze, con la giustizia.