Il 12 i viola con le pentole come in Argentina, il giorno dopo le donne per la dignità e valanghe di firme sotto a questo o a quel documento. Indignazioni che non riescono a convergere, che si rifugiano dentro la rete, che producono spot con le misure giuste. Questa è la protesta italiana, proprietaria, stravagante, divisa dai copyright come se la dignità delle donne non fosse una questione di civiltà globale, esattamente come una questione di civiltà è il governo Berlusconi e la sua corte di corrotti. Come se non parlassimo della stessa cosa. Come se i disagi e la rabbia, avessero precisi confini.

Davvero non può sfuggire l’impietoso paragone con quanto sta succedendo altrove, di fronte al bizantinismo esangue cui ci tocca assistere. Ma davvero qualcuno pensa di cacciar via Berlusconi con questo tipo di “spallate”?

E dire che mi sembrava che nella battaglia mancasse proprio la piazza, il vigore di una riappropriazione, il senso di una ribellione. E invece che ci ritroviamo? Le streghe degli anni ’70 e le pentole di Buenos Aires: non la fantasia al potere, ma la stanca imitazione. Nemmeno la voglia di trovare qualcosa che dia il senso di una nuova coscienza.

Se non si capisce che l’angoscia del cassintegrato fa tutt’uno con la dignità violata della figura femminile, che il precariato è l’altra sponda della violazione della donna, non cacceremo via nessuno: ognuno si sentirà isolato e portatore di una propria lotta particolare. Anzi milioni si sentiranno del tutto estranei e si appresteranno persino ad essere ostili.

Che dire, lascio la parola a Pasolini, io che ho visto altre piazze e il cui tempo sta inesorabilmente scadendo:

… invecchiando vidi le vostre teste piene di dolore
dove vorticava un’idea confusa, un’assoluta certezza,
una presunzione di eroi destinati a non morire –
oh ragazzi sfortunati, che avete visto a portata di mano
una meravigliosa vittoria che non esisteva!