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Io robot (dedicato alla Fiom)

Quando ero un bambino mi raccontavano che in un futuro nemmeno troppo lontano, sarebbero state le macchine a liberarci dalla fatica materiale: niente più catene di montaggio o lavori ripetitivi, ma infallibili robot dediti a costruire ed ad assemblare tutto ciò che ci era necessario e anche ciò che ci attraeva per la sua futilità. Agli uomini era destinata una vita più creativa e più libera. Non so se fosse una convinzione, una speranza o un’indiretta critica a chi predicava rivoluzioni.

Quando ero giovane mi dissero che non si poteva ancora fare, che la fatica e il sudore sarebbero rimasti ancora per un bel po’, ma che la classe operaia andava in paradiso o quantomeno in 500.

Quando ero maturo mi dissero che le masse umane dell’Asia, del Sudamerica o dell’Africa erano meno costose dei robot e molto più avanzate, anche quando si trattava di bambini. E quindi  i meravigliosi robot di cui esistevano solo delle versioni arcaiche, potevano attendere, non fosse altro che per ragioni economiche. Era la tecnologia socio-biologica, quella che aveva sconfitto il comunismo.

Adesso che sono vecchio e consunto, che il lavoro non c’è, che debbo tirare la carretta per sopravvivere e per molto meno di prima, con meno tutele e meno diritti, ho finalmente scoperto la verità. Il robot di cui mi parlavano tanti anni fa, non era un’illusione. Ero io.

 

 

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