Fu Philippe de Champaigne a dipingere la verità come una figura femminile con tre volti che guardano in tre diverse direzioni. È un’immagine molto barocca e visionaria. Ma testimonia bene uno dei caratteri di questa contemporaneità in cui la verità e la sua trasmissione si propongono in modi diversi a seconda che prevalga l’intento del profitto, il disegno del potere o l’aspirazione a compiere un atto al servizio della trasparenza della legittimità e della democrazia.L’Infedele di ieri è paradigmatico di questo corto circuito.
Con assolutà “fedeltà” l’infedele Lerner ha probabilmente creduto di rendere un servizio all’informazione e alla consapevolezza dei telespettatori. Peccato che abbia proposto un caravanserraglio che obiettivamente poteva meritarsi l’ingiuria del premier. Le sue supporters incarnavano adeguatamente la sua cultura commerciale quella del profitto rappresentato da ok il prezzo è giusto esercitato anche sui corpi e su una rappresentazione distorta dell’amore e delle relazioni di fedeltà e affiliazione. Poi lui ha fatto irruzione con la sua personale testimonianza di una hybris cieca, folle che interpreta il governare come un territorio per scorrerie mirate a affermare un potere privato e privatistico, affaristico e criminale. E che possiede anche il disegno perverso e ormai esplicito di imporci una realtà e una morale che ne incorporano tutto il marcio e tutta la corruzione profonda.Ieri sera davanti a quella rappresentazione che aveva la sacralità catartica dello stravolgimento della nostra civilizzazione ho inizialmente sentito un terribile imbarazzo.
Come succede se si assiste a un atto indecente, che ne so l’immondo muoversi di un esibizionista. Anche lo confesso l’imbarazzo che provai una volta in un manicomio non ancora sfiorato dalla legge Basaglia dove un “matto” si spogliava urlando sconcezze. Perché magari è l’imbarazzo che temiamo noi che ci sentiamo sani e equilibrati sospettando gli abissi bui che conserviamo in fondo a noi stessi.
Ma poi il sopravvento lo ha preso una rabbia impotente. E la terribile consapevolezza che forse Berlusconi ha vinto. Perché non credo di essere la sola a sentirsi isolata diversa marginale di fronte a quella ovvia, ottusa, assertiva e prepotente omologazione nella quale tutto e il contrario di tutto sono diventati un unico impasto mediatico e una unica spettacolarizzazione di valori sentire comune sentimenti passioni quattrini avidità ambizioni smaniosa visibilità, si una terribile rabbia se è riuscito nell’impresa di appiattire sui suoi modi anche quelli che pensavamo affini così a difendere le donne offese si chiamano mogli di uomini illustri o commentatrici che hanno l’unico merito di interpretare una “moralona” perbenista, rappresentativa nel modo più perentorio e autoreferenziale della “banalità della stupidità”.
Sono piena di rabbia perché la guerra vinta da Berlusconi è quella della persuasione tracotante, della piena occupazione delle nostre coscienze di donne e uomini. Che sembriamo davvero convinti che questa operazione di corruzione abbia avuto come oggetto e investito solo le donne le une allineate le altre offese. E la “ricchezza” sulla quale, bontà loro, si vogliono o non vogliono stare assise. Come se invece la corruzione perpetrata attraverso un potere esercitato con affiliazione, familismo, mercatizzazione dei rapporti e dei corpi, relazioni protette e opache, spregio delle regole e delle leggi, appartenenza cieca e ubbidiente, sostituzione totale dell’interesse privato al bene generale, erosione della dignità e della libertà non avessero contaminato un omero paese e la sua cittadinanza sempre più annichilita e indifferente.
Non sono certo un’illuminata, credo che in molti proviamo questo orrendo malessere, questo frustrante spaesamento. Me lo auguro. Quindi credo che dismetterò ogni disappunto di “genere” per esternare una furiosa rabbia umana, un’ira che vorrei indirizzare come manifestazione superstite di appartenenza alla civiltà contro chi la vuole annientare. Si si la politica non si fa su Fb, ma sono convinta che la vera rivolta deve albergare dentro le nostre teste. Che la guerriglia si deve fare non più per le strade nelle foreste, sui confini delle acque, ma nei media e soprattutto del cyberspazio. Che dobbiamo difendere perché forse è il territorio dove è ancora possibile ragionare insieme.