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Garibaldi e la spazzatura morale

Anna Lombroso per il Simplicissimus

È di ieri la notizia: la statua equestre di Garibaldi a Verona è stata oggetto di una bravata. Un gruppo immemore le ha cinto la testa con un sacchetto dell’immondizia, simbolo di una modernità troppo intenta all’accumulazione di beni inutili o forse allegoria di glorie effimere. Un cartello con perentorio piglio dialettale denunciava il persistere delle menzogne convenzionali sulla storia risorgimentale. E la rivendicazione, recita l’arena, è di un gruppo un bel po’ visionario: Comitato veneto per la verità.
Ristabilire poco persuasive verità storiche sembra una ossessione bipartisan, in un paese incline all’oblio invece, che da’ luogo a compromissorie pacificazioni o a violenti e farneticanti antiagonismi, come se la conciliazione o invece l’identificazione del nemico potesse restituire l’armonia del ragionare insieme a una democrazia fortemente deficitaria.
E certo ricercare la verità è piuttosto arduo travolti come siamo da valanghe acritiche di contemporaneità a da frane più o meno manipolate di ideologie, di principi e, in sostanza, di passato. Ci arriva e circola in rete, nei media, per tradizione orale una formidabile quantità di dati, notizie, numeri, esternazioni di comunicazione insomma, che non si traduce in informazione e tanto meno in conoscenza o sapere.
Ingannati dalla parvenza di pluralismo che deriva dalla molteplicità di fonti e linguaggi scambiamo l’offerta smodata e dissipata per possibilità di elaborazione e scelta personale, autodeterminata, della verità.
E con il rischio di essere nauseati dal surplus e dall’overdose di dati e di voci che a volte farebbero preferire qualche omissione o qualche oculato silenzio se non addirittura un po’ di benedetta censura in nome di una malintesa privacy, come si vorrebbe davanti alle 384 pagine della Sodoma e Gomorra de noantri o alla prepotente e celibe perentorietà dei microfoni di servizio pubblico di Santoro.
Forse tutto questo magmatico e viscido proporsi del racconto di avvenimenti più che di avvenimenti vissuti sta producendo una specie di perdita del senso comune, esaltando ego e introspezione solipsistica, insicurezza e dimissione della responsabilità e disperdendo l’attesa di forme ideali che penalizzano anche il disegno del futuro.
E la perdita del senso comune è anche perdita del senso della realtà, alla quale siamo ormai poco abituati preferendole o accettando una narrazione che comprende anche quello che siamo e quello che saremo, incantati da beni e soddisfazioni istantanee o soggetti da paure e minacce immanenti.
Si parla di uso politico della storia e capita bene a proposito delle imprese degli scavezzacollo leghisti. Ma forse deve preoccuparci di più l’uso politico della realtà, tutto questo pieno che rischia di generare un gran vuoto dinamico nel quale agitiamo emozioni e sdegno a perdere.
Ci penserà la storia a rimettere le cose a posto. La storia che procede a spirale e torna indietro e va avanti anche quando indietreggia e, c’è da temere, non già perché sia progressiva ma perché si muove sempre mossa dal solito tragico disegno della inuguaglianza e dell’ingiustizia. Che si sta già dimostrando intollerabile per chi sta dalla parte sbagliata. E la nostra si sta rivelando una parte sbagliata. E premono i sommersi. E imporranno la loro rabbiosa realtà.

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