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Lettera a Saviano: non essere l’alibi della repressione

Luana De Vita per il Simplicissimus

Caro Saviano,

non sono giovane come te, potrei essere una mamma dei ragazzi che il 14 dicembre hanno manifestato a Roma, ma avevo la loro età il 12 maggio 1977 ed ero scesa in piazza con il sorriso e l’allegria di chi si affacciava al mondo e voleva cambiarlo, in meglio. Utopie necessarie a quell’età, poi la vita ti schiaccia, ti calpesta e ti riduce a non avere neanche più sogni da sognare, né desideri , né radiose visioni del futuro.

Ricordo con chiarezza le cariche della polizia quel giorno, ricordo quei ragazzi in borghese tra i celerini con le pistole in pugno, ricordo gli spari e soprattutto ricordo che tornai a casa sconvolta e non potevo neanche raccontare quello che avevo visto, i miei genitori mi avrebbe randellato anche più di quanto avrebbero potuto fare i celerini se mi avessero acciuffata.

Guardai il telegiornale pensando che avrebbero raccontato quello che avevo visto, invece neanche una parola, anzi i poliziotti in borghese armati erano stati trasformati in manifestanti, Cossiga spiegò che le forze dell’ordine non avevano fatto uso di armi da fuoco, gli intellettuali prendevano le distanze dai giovani criminali e tutti citavano Pasolini e i poliziotti proletari. Giorgiana Masi intanto era morta sul lungotevere e ad oggi non sappiamo chi l’ha uccisa, anzi non l’abbiamo mai cercato l’assassino.

Mi sentivo tradita, tradita dal mio paese, dalla polizia, dai giornalisti, dai politici e dalla mia famiglia. E pensa allora non avevo ancora compiuto 15 anni, oggi ne ho 48 e ancora sento l’odore disgustoso dello stesso tradimento. Troppo facile, Saviano, infilarsi il tutù e ballare sulle punte in prima fila sciorinando ovvietà.

No, caro Saviano, non ci sto. La tua lettera è di una banalità sconcertante, muovi aria fritta, dici cose condivisibili ma inutili. Parli di complessità? Pensi davvero che la tua analisi e il tuo commento siano compatibili con una lettura che tenga conto di tutti i livelli e i diversi contesti?

Il 14 dicembre 2010, prima ancora della guerriglia urbana, è andato in scena uno spettacolo raccapricciante nei palazzi di potere, per molto meno si sarebbe dovuto fermare l’intero paese, un paese e una democrazia che pure aveva vinto il terrorismo, aveva saputo confermare le ragioni di Stato sulla follia della lotta armata. Per cosa? Per consegnare al futuro questo Stato? Questa classe politica?

Le risse in parlamento, gli insulti tra onorevoli, uomini e donne che si vendono e vendono il paese per una manciata di noccioline, ecco perfino le vetrine sfondate mi sembrano insignificanti. Mafiosi, pregiudicati, subrettine che diventano ministro non li rispetto più di quanto potrei non rispettare chi brucia i cassonetti. Cialtroni, nient’altro.

Cialtroni e ciarlatani al governo di una penosa democrazia, intellettuali blindati che pontificano ovvietà, ragazzini che tirano sassi e petardi. No, la risposta politica non la dovrebbero dare i ragazzini e gli operai, la dovrebbero dare i politici. Già ma quali? Chi? Perché questo è il vero problema.

Dunque a dispetto della mia età mi sento molto vicina agli studenti e alla gente in piazza e molto contro le Istituzioni, quelle dei palazzi blindati quella mattina, come in una qualsiasi dittatura da terzo mondo.

E mi irritano sinceramente le banalità che intellettuali, giornalisti, politici e commentatori di vario ordine e grado vanno cianciano in queste ore pur di non perdere un’ulteriore vetrina, l’ennesima occasione di visibilità.

Quella visibilità importante di cui godi anche tu e che non dovresti sprecare così.

Perché state permettendo che l’oscenità di quanto accaduto in Parlamento si trasformi in immagine sfondo del contesto, perdendo qualsiasi importanza, per focalizzarvi sui particolari degli scontri in piazza, neanche una riga sulla grande partecipazione civile mobilitata per festeggiare la caduta di questo Governo. Che ancora una volta, grazie a giochini di potere e di palazzo, è rimasto dov’era.

Siete come gli stolti del dito e della luna, ma non siete veramente stolti, state solo prestando le vostre penne e i vostri nomi per favorire l’attenzione sul dito.

E questo non ve lo perdono, oggi come allora.

Siete voi il vero alibi della repressione che verrà, la state scrivendo con i vostri articoli, lo state favorendo con le vostre analisi che diverranno alibi per ulteriori restrizioni della libertà di espressione e di partecipazione. Siete in questo molto più violenti e privi si strategie e state colpendo le speranze di un’intera generazione che pure, straordinariamente, si sente parte di questo paese e spera di esserne davvero parte attiva, tanto da scendere in piazza. Non i 100 ragazzini più esagitati, io penso alle migliaia che erano per strada a cantare il loro inno alla vita nonostante lo schifo che li circonda, ma di questi neanche a te sembra importare nulla.

 

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