Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ma mica ci avevate creduto vero? Non ci siete cascati, che non esistono piu’ la destra e il fascismo?
In caso contrario non sareste del tutto colpevoli. C’è stata una sorta di “spirale del silenzio” nei confronti del fascismo in Italia. Non che se ne tacesse, ma se ne accennava sobriamente come a un fenomeno arcaico da mettere in soffitta con altri polverosi ciarpami del ‘900, utopie, ideologie.
La spirale del silenzio, espressione coniata da Elisabeth Noelle Neumann, definisce una specie di timore reverenziale a esprimere critiche nei confronti di qualcosa che “va per la maggiore”. È la paura di sembrare minoritari che fa insorgere un atteggiamento di appiattimento e consenso nei confronti dei pareri dei più o di compiacenza verso persuasori convincenti.
Così si è preferito parlare di “destra” dando per veritieri i panni nuovi, i blazers blu che coprono l’orbace, la modernità che cela il misoneismo. E operazioni dissenzienti, criminalizzate o derise come arcaiche, sono ammutolite per non essere messe all’indice dai benpensanti di tutti gli schieramenti.
Rémond aveva identificato tre categorie della destra: quella tradizionalista, archetipica, “pura”, legittimata dalla Provvidenza che collocava un suo inviato a realizzare autoritarismo, totalitarismo, attraverso un Ordine in egualitario, assolutistico, conservatore. La destra orleanista era quella che recuperava lumi, ragione e elaborazione concettuale per creare, ma vedi un po’, un centro capace di pensare a destra, orientato alla normalizzazione e al governo di istituzioni addomesticate. Con Berlusconi non si sa come siamo precipitati nella terza categoria, la più letteraria e pittoresca, quella bonapartista: il potere concentrato in un uomo solo, secondo modalità plebiscitarie, che parla senza mediazioni al popolo e assicura lauta sopravvivenza al dominio dei suoi “notabili”, manipolando regole, leggi, diritti, secondo il primato dell’arbitrio.
Ma sotto sotto, sopravvivevano anche tutte le altre componenti, rappresentate di volta in volta dalla Lega, da Storace piuttosto che da altre fulminanti formazioni che hanno attraversato come inquietanti comete il nostro cielo nuvoloso e imbronciato interpretando i capisaldi della destra tout court: razzismo, xenofobia, riconciliazione con i fascismi, perdita del senso dell’unità del paese e della Costituzione, esaltazione delle virtù delle monocrazie, antipolitica, revisionismo,
Ma anche grazie a una sinistra largamente impotente a confliggere abbiamo dato per buono, nella spirale del silenzio, che potesse essere accettabile una destra apparentemente meno brutale, distinta per via del doppiopetto e del fatto che fingeva di “distinguersi” dalle forme estreme. Ma che intanto faceva passare illegalità, svuotamento del potere delle istituzioni repubblicane, incremento della burocratizzazione della vita collettiva con la conseguente riduzione dello spazio della decisione, familismo, personalizzazione dello stato, pratica dell’affiliazione, mercatismo.
Oggi un amico, contagiato da un mio recente atteggiamento di dissennato ottimismo attribuibile a chissà che, spiegava il riapparire delle forme più scomposte, sguaiate e sciagurate della destra fascista come il segno di un cedimento, di un nervosismo, insomma come manifestazioni esplicite di debolezza.
Gli incendiari con le loro maledette taniche inquietano. Ma per non scivolare dall’inquietudine alla paura potrebbe aiutare la vecchia ricetta sempre valida: essere in tanti. Che in piazza con gli studenti ci andiamo anche noi, che a votare ci andiamo tutti, che ridicolizziamo la loro controinformazione, che spegniamo il loro spettacolo in tv e al governo, che esorcizziamo i loro messaggi trasversali, le loro intimidazioni e le loro minacce. E che li chiamiamo col loro nome, sempre lo stesso: fascisti.
Il 22 andiamo tutti in piazza.