Vi confesso faccio zapping prima di prendere un libro e di terminare la giornata con qualcosa di sensato che approdi alle rive del sonno. Ieri tra kung fu e giochini sono capitato su Chi l’ha visto, ormai fisso a Brembate . Ci sono capitato proprio in tempo per sentire una responsabile della palestra dove andava Yara , svelarmi un momento of being della realtà italiana.

Diceva la responsabile che per evitare traumi ai frequentatori del centro sportivo, si è scelto di simulare un’assoluta normalità. Cosa che del resto fa l’intera Brembate esorcizzando inquietudini e domande,  facendo finta che non esistano, confondendole nella quotidianità.

Normalità come difesa, come mantra, come rifugio dove nascondersi, come culto insensato e domestico. Normalità, libera nos a malo.

E non si tratta solo di rintanarsi dall’assedio di irrazionali e imprevedibili malvagità, ma di proteggersi e dimenticare le paure che salgono in gola. Normalità è anche quella di farsi in discoteca per dimenticare di essere sfruttati, normalità  è il vivere le cose come se fossero immutabili per evitare di trovare la forza per cambiarle, normalità è asserire e non pensare, normalità è una saggezza dettata solo dall’abitudine o una follia suggerita da una disperazione negata.

Così vivendo in un Paese del tutto anomalo, abbiamo a proteggerci la benda delle molte ipnotiche normalità possibili. Quelle suggerite, imposte, invocate, fabbricate dalla rassegnazione. Normalità anormali.

E mi sono reso conto del perché l’altro giorno gli scontri di Roma mi facevano tenere disperatamente per la protesta, anche quella più violenta: perché è finalmente una ribellione alla normalità dell’anomalia, alla normalità che stritola le vite e che le umilia. E le banalizza tutte.

E’ normale che prima o poi ci si rifiuti di essere così normali.