Fischi per fiaschi, lucciole per lanterne. L’Italia immobile e quasi svagata dell’ultimo decennio, sta cominciando a prendere coscienza della sua situazione, ma non ancora a riacquistare lucidità.
Così se a Palazzo Grazioli i gerachi di Silvio si attaccano persino ai complotti per giustificare in qualche modo il marcio che ormai affiora dovunque, la Confindustria non sa pensare ad altro che a un federalismo a doppia velocità per cercare di nascondere le macerie dovute alla mancanza di una politica industriale complessiva.
E in altre sedi si scaldano i motori per cercare di ammortizzare il contraccolpo di una presa di coscienza del Paese: Montezemolo non è che una espressione della paura che le classi dirigenti cominciano a sentire.
Ma nel frattempo un decennio è passato, preceduto da anni altrettanto immobili nei fatti, seppur più reattivi e ormai non si trova ad ogni angolo ciò che si è seminato e attentamente selezionato: confusione e mediocrità. Incapacità di pensare a destini collettivi, il sordo urlo del si salvi chi può che comincia a rumoreggiare dalle stive.
S’intravede il senso della battaglia finale di cui Berlusconi non è che una parte: quella tra un Paese che ritrova la sua strada in un comune rilancio e quella di un declino turbolento pervaso di egoismi, di fratture e di ombelichi da guardare.
A questo punto l’esplorazione è una necessità, ma la la troppa prudenza un tradimento.