Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ieri sera, posseduta da chissà che demone maligno, ho guardato, con un occhio solo e senza gran convinzione, Annozero.

Fossi meno strega, meno incattivita, meno faziosa, meno arida sarei precipitata in un abisso melenso di comprensione compassionevole per quel povero ricco, solo, poco amato, desiderabile solo per il suo denaro, costretto a cercare affettività mercenaria.

Ma siccome sono piena di malanimo nei confronti di un criminale che sta erodendo il nostro futuro, intreccia relazioni inquietanti con tiranni di ogni latitudine, esercita la funzione di utilizzatore finale di corpi e della cosa pubblica, irride chi ha a cuore l’interesse generale, attenta alla costituzione per tutelare i suoi beni personali, esibisce costumi infami, disdicevoli e lesivi della dignità come fossero invidiabili qualità.  Per tutto questo, tristemente ammirata della sua potenza, mi sono persuasa che la sua tirannide mediatica ha provocato uno stravolgimento tale di valori e principi da indurre in persone, malauguratamente influenti,  sentimenti obliqui e distorti di “comprensione”.

Si,  per fortuna sono una bastarda e quindi adesso non solo voglio sparare  sul pianista ma anche, e con entusiasmo, sui violinisti che lo accompagnano con i loro lacrimevoli minuetti: la De Gregorio che gli indica la strada della vera solidarietà, proponendogli di andare nelle favelas nostrane, suppostamente con Apicella, a convincere i ragazzi di Gomorra a suonare il flautino e persuadere le puttanelle ciniche e invasate di grandifratelli a scoprire la bellezza del no profit. E Mieli che rivolge accorati appelli ai familiari e famigli del cavaliere solitario, perché lo indicano dolcemente a comportamenti più virtuosi.

Chi ha assistito a quei balletti, anche senza essere l’infame Franti come me, ha certamente avuto contezza che non c’era ironia ne’ tantomeno sarcasmo.

No, c’era invece tutta  la pia ipocrisia dei benpensanti, la voluttuosa ansia di redenzione dei rappresentanti della “moralona”, intrisa di menzogne convenzionali, buoni sentimenti in sostituzione di principi etici, pericolose inclinazioni verso derive confessionali. E forse quel malinteso snobismo di chi si sente “migliore” che conduce a al  “negazionismo” della verità e della storia, induce stolidi giustificazionismi, promuove  una comoda tolleranza e una pacifica indulgenza, insomma riduce il conflitto politico legittimo sacrosanto e doveroso a un teatrino di affini, in questo caso intenti a salvare anime piuttosto che il Paese.

Tempo fa ho criticato un amico che aveva usato toni e termini “forti”, richiamandolo al rispetto delle “buone maniere” come segno distintivo della civiltà e attrezzatura indispensabile della democrazia in opposizione  al rozzo irrispetto di regole e leggi peculiarità della nostra classe dirigente. Avevo torto, meglio l’invettiva che invitare Attila a fare il giardiniere, Arsenio Lupin a entrare nell’Arma e Berlusconi ad essere “per bene” nel privato, meglio lo sdegno rabbioso e insurrezionale che quella ipocrita, velenosa e ecumenica “comprensione”, anticamera dell’indifferenza e della complicità.