Incredibile come a volte, nella notte dei Tremonti, dei cavalieri, dei Sacconi, dei Bonanni e dei Marchionne ci sia qualche flash che illumina la realtà. Ancor più incredibile se il lampo viene da un uomo dell’establishment liberista, come il governatore Draghi.
Per la prima volta da quanto? da circa una quindicina d’anni qualcuno ha letto qualcosa di sociologia o di statistica non finanziaria e si è accorto che la precarietà, la “liquidità” sono in contrasto con la competenza e possono alimentare solo lavori di basso livello.
Forse al governatore che ha aperto a situazioni più stabili e regolari, sarà capitato di leggere qualche studio fatto a partire dai primi anni del secolo in cui si mostra che nel ventennio precedente, nel settore di maggior sviluppo tecnologico e contemporaneamente di maggior specializzazione, ossia quello dell’informatica, la mobilità, al netto delle variazioni di ragione sociale, è stata molto sotto la media. Praticamente quasi zero nel campo dell’hardware.
Estendendo il concetto possiamo dire – e si tratta di cose ormai acquisite – che maggiore è la qualità di prodotto e la capacità d’innovazione complessiva di un Paese, minore è la famosa e adorata flessibilità. E quella che esiste è una flessibilità “alta”.
Il fatto che in Italia si sia cominciato a puntare su contratti di lavoro sempre più aleatori, tra l’altro in maniera insieme pasticciona, ideologica e poco realistica, fino ad arrivare alla vera e propria precarietà, è segno di una scelta miope, volta ad avvantaggiare momentaneamente un’economia produttiva di secondo piano, poco o per nulla attrezzata ad affrontare la globalizzazione.
E oggi che la crisi ha accelerato i tempi, cominciamo a pagarne le conseguenze senza però avere la capacità di fare dei consistenti passi indietro e avanti, perché nel frattempo si è creata un’intera economia basata esclusivamente sul precariato.
Il fatto che questa realtà sia balenata nel buio della caverna di ovvietà, frasi fatte e bugie, è già qualcosa. Ancora un vagito, più che una presa di coscienza.
c’è forse un diffuso profumo neo democristiano nell’aria?