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La democrazia ca’ pummarola ‘ncoppa

Il clima da 25 luglio a luci rosse che si respira, l’incarognimento dei servi, la partita a scacchi degli altri, la fuga dei topi dalla nave non più sicura con incredibili capriole («Ero convinto di partecipare alla realizzazione di un nuovo “umanesimo liberale” dice il transfuga Biondi), stanno segnando la fine ingloriosa di un un ventennio non in nero, ma in marroncino scuro.

Mi chiedo però se davvero questo Paese abbia fatto proprio il gusto della democrazia, abbia interiorizzato l’ aspirazione alla libertà e alla socialità o tutto questo non sia posticcio, un po’ come il pomodoro di Pachino che viene venduto quasi fosse la summa della tradizione culinaria italiana, l’irrinunciabile tocco del genuino e invece è  la creazione di un’azienda israeliana che lo ha messo a punto negli anni ’90. Non si tratta di un ogm propriamente detto, ma comunque è una varietà “ingegnerizzata” dalla Hazema Genetics. Così come tutti gli altri ciliegini che hanno una nascita da laboratorio.

Tranquilli, non vi agitate, perché devo rivelarvi molto di più: nessun tipo di pomodoro, compreso il mitico San Marzano, è  frutto di un lavoro specifico degli agricoltori italiani. Quelli che produciamo o importiamo hanno tutti origine in America, nei primi decenni del secolo scorso. E infatti l’uso massiccio di questo ortaggio in cucina si è affermato da meno di un secolo: prima  la produzione era difficile, costosa.  Insomma nulla di tipico o di autoctono, come forse pure la democrazia.

La ragione di tutto questo è semplice per chi ha qualche cognizione di genetica: i pomodori (in origine gialli, come dice il nome) sono arrivati dalle Indie occidentali a seguito di Colombo, ma erano i tomatl già domesticati dagli Aztechi, non quelli quelli originari che invece avevano la loro area nelle zone interne di Colombia, Venezuela, Equador. Per farla breve i pomodori giunti in Europa e in Italia,  avevano una scarsa variabilità genetica e dunque poca resistenza alle malattie, poca adattabilità climatica, abbondanza di fenomeni teratologici e non potevano dare origine a molte varietà, a primizie o a frutti tardivi.

Quindi il pomodoro era relativamente raro,  a prezzi tutt’altro che popolari e disponibile per un breve periodo dell’anno. Pochi immaginano che la pizza margherita venne inventata per l’omonima regina utilizzando un ingrediente che allora era sostanzialmente ” di lusso”. Solo quando si ricorse agli incroci con le specie originarie, si formarono le varietà che usiamo. Tutte cose avvenute in Usa, compresa una fortuita mutazione genetica scoperta nel 1914, che rese molto più facile la coltivazione. Da lì il consumo cominciò davvero a decollare.

Perciò mi viene da ridere quando si parla del pomodoro italiano e si consiglia di comprare solo quello prodotto da noi, cosa del resto impossibile visto che ne produciamo un terzo del consumo. Tutti i semi vengono dall’estero e probabilmente in qualche Paese meno sviluppato ci sono varietà con qualche reale tipicità in più.

Ma sembra che anche la democrazia da noi abbia le stesse caratteristiche del pomodoro: è complicata coltivarla, c’è poca variabilità nelle elite, è molto soggetta a malattie ricorrenti, presenta un’ abbondanza di mostruosità come i conflitti d’interesse, i lodi le tentazioni autoritarie. Alla fine rischiamo di scoprire che il prodotto non è autoctono, ma d’importazione.  E modificato geneticamente.

 

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