Come dicono i bene informati che l’hanno appreso dalla televisione, il nuovo secolo ha abbandonato le ideologie del Novecento, quelle fedi feroci che immolavano tutto all’idea di una trasformazione del mondo. Non che il male sia scomparso dall’orizzonte, tutt’altro, ma è semplicemente diventato futile. Non banale come quello di Hannah Arendt, ma futile, l’orpello della nostra nullità, la griffe dell’idiozia.

Esempi se ne potrebbero fare a bizzeffe dall’ Afganistan alle terre moribonde dove l’ideologia vincente e nascosta dietro il paravento delle realtà economica, si assenta per giocare in borsa. Ma di esempi ne abbiamo a bizzeffe anche in Italia. Nei giorni scorsi, oscurata dalle urla scomposte dei manganellatori di Silvio, ha tentato di venire alla luce, di bussare ai neuroni residuali del Paese, la vicenda atroce e insensata dell’immigrazione.

Si è scoperto che l’accordo con la Libia, i campi di concentramento nel deserto non hanno affatto fermato l’immigrazione e nemmeno gli sbarchi dei clandestini. La sofferenza di migliaia di persone, la fame, le torture, la morte sono state inflitte semplicemente per sopire momentaneamente un effetto mediatico.  La Charitas, denudando le chiacchiere, ha semplicemente mostrato che gli sbarchi (peraltro ripresi già da mesi) erano solo il lato “spettacolare” dell’immigrazione e dunque il più pericoloso pericoloso per un governo dedito alla show business.

Ma le vere vie dell’immigrazione sono altre, come del resto si sapeva. Per controllarle, se questo era l’intento,  occorreva qualche idea bel al di là delle possibilità di qualche ministro cialtrone. Eppure per ottenere un effetto mediatico non si è esitato a fare un patto di ferro con un feroce e ambiguo tiranno, a difenderlo in sede europea e a consegnare migliaia di vite in mano al despota di Tripoli, uno che si trucca con il lucido da scarpe.

Non c’erano ragioni e scopi per quanto sbagliati e miserabili potessero essere a giustificare tutto questo che in definitiva si è tradotto solo in una variazione di palinsesto dei tiggì. Quasi un fatto estetico, una nota di colore per una legislatura fallita. Un male futile, appunto, quanto chi l’ha creato.