Così abbiamo una moneta unica e una politica economica divisa, regole comuni per alcune cose e del tutto differenti per altre, qualche interesse continentale e moltissimi nazionali che fanno a pugni fra di loro. Senza alcun disegno o razionalità.
Così giunge l’imposizione ad elevare l’età pensionabile delle donne a 65 anni per un puro e astratto criterio di principio, senza però che esista una minima omogeneità tra i diversi mercati del lavoro e men che meno regole comuni che lo disciplinino. Una parità che può avere un senso e una correttezza in qualche Paese, ma potrebbe non averne in un altro o essere di più difficile attuazione viste le condizioni concrete.
L’impressione che se ne trae è che l’unica vera razionalità in questo esserci e non esserci alternato dell’Europa è determinato dalle convenienze del complesso finanziario e industriale oltre che dagli interessi dei Paesi più forti. Ancora non ho visto un’imposizione all’Italia perché si allinei all’incidenza media dell’evasione fiscale o alla media europea di salari e stipendi o al grado di carico fiscale dei redditi medio bassi che altrove è parecchio minore o ancora all’effettiva parità di salario e di stipendio tra uomini e donne.
Mi chiedo perché in questi casi le differenze sono tranquillamente accettate come “caratteristiche” di un sistema economico, mentre l’aumento dell’età della pensione per le donne diventa una questione di principio.
So che tutte queste considerazioni non intaccano il piano formale della sentenza della Corte di Giustizia così come l’attuale diktat della Commissione. Ma chissà perché la sostanza sembra sempre scaturire da ben altri interessi. In maniera informale, naturalmente.