Ripubblico il post scritto in febbraio sulla condanna di tre dirigenti di Google  per aver ” permesso” la pubblicazione di un filmato nel quale era ripreso un episodio di bullismo. Ora è uscita la motivazione della sentenza dalla quale sembra di capire che la colpa di Google sia quella di non aver specificato bene e abbastanza visibilmente le condizioni di servizio e le regole riguardanti la privacy. Insomma qualcosa che rassomiglia ad un pretesto, tanto più che nella sostanza viene sostenuto che l’omesso controllo di Google sia stato dovuto a una politica volta a sottrarre mercato ai concorrenti italiani. Se possibile le motivazioni sono persino un passo indietro rispetto alla sentenza stessa. dunque non tocco una virgola di quanto avevo scritto.

In attesa che il sottosegretario Romani, noto pioniere della pornografia via telefono, riesca in qualche modo a portare in  Parlamento il suo attacco alla libertà del web, si fanno le prove di censura in salsa cinese. Per la prima volta nel mondo tre dirigenti di Google sono stati condannati per non aver prontamente tolto dal web un filmato che mostrava un ragazzo down, insultato e picchiato da quattro compagni di classe. Mentre tutti gli altri stavano a guardare tranquillamente l’aggressione, condita da simboli nazisti graziosamente disegnati sulla lavagna.

Ora la condanna per violazione della “privacy”, non si sa se del picchiato o dei picchiatori, sarà pure dovuta alla tutela della persona umana come dicono i magistrati che hanno emesso la sentenza. Ma è ben strano che questa non si sia concretata in una condanna degli aggressori, né si concreti in misure di prevenzione, ma abbia come suo punto focale la diffusione del filmato. Ti possono massacrare, l’importante è che non si veda.

Anzi mostrando la bestialità di certi comportamenti, i loro protagonisti e l’indifferenza degli altri, proprio questa drammatica ripresa da telefonino è l’unica tutela sia pure indiretta che si sia avuta in questa vicenda.

Ma c’è qualcosa di più inquietante. La condanna dei dirigenti Google, presuppone una completa ignoranza del web e l’applicazione ad esso di criteri del tutto estranei, come se un ritardo o un omesso controllo fosse possibile esattamente come in un quotidiano o magari in un settimanale. Non in un in un magma con milioni di contenuti che  passano ogni ora. Si tratta della medesima logica che anima il governo nel suo tentativo di controllare la libera informazione su internet riferendola ai mezzi in uso nel secolo scorso, anzi due secoli fa.

Il paese è vecchio, si sta diffondendo una sorta  di paura e di fastidio verso il  nuovo  che certo ha bisogno di regole, ma non quelle prese a prestito da Gutenberg o dalle Tv di Stato e di Governo. Non a caso le uniche cose che vengono dall’Italia sono le “berlusconades” e le inedite condanne come questa. Alla fine  si finge di tutelare tutto per non tutelare la libertà.