Prima che i fatti di Charlottesville fossero oscurati dalla vicenda di Barcellona, la marcia armata dei suprematisti bianchi aveva destato scalpore e orrore più ancora per la reazione blanda e ambigua di Trump che per il fatto in sé, visto che offriva una golosa e insperata occasione per attaccare il rivale della Clinton connection con argomenti diversi rispetto a quello russo che si va sempre più sfilacciando, non senza aver già provocato enormi danni. In realtà gli eventi nella loro drammatica confusione ci forniscono una mappa diacronica e storica del caos americano e di conseguenza occidentale nel quale ci dibattiamo senza quasi averne consapevolezza. Come si sa gli scontri sono stati innescati dalla decisione di togliere dal campus dell’Università della Virginia la statua del generale Lee, comandante in capo delle truppe confederate durate la guerra di secessione e in qualche modo simbolo di un’America rurale o comunque di quella parte di America che ha subito una sconfitta e che per qualche anno è stata trattata come un Paese dove si deve esportare democrazia. Tanto questo è vero che la statua del generale fu eretta nel 1924 proprio come simbolo di una riconciliazione tra due differenti visioni americane.
Un proposito forse ispirato al neo bigottismo mondialista che si è espresso nella sua essenza con l’abbattimento della statua di Saddam, con tanto di show televisivo e di comparse o la distruzione in Ucraina di qualsiasi monumento a Lenin, ma comunque sconcertante e in sé vuoto visto che leggi segregazioniste sono rimaste intatte fino agli anni ’70 e alcune legislazioni addirittura razziste e schiaviste sia pure non applicate sono rimaste in vigore in qualche stato fino agli anni ’90. Ma il fatto è che l’università della Virginia, con la sua sola presenza, con il suo ingresso fatto a forma di piccolo Pantheon, rappresenta in qualche modo l’insieme delle contraddizioni statunitensi: fu la prima università americana a separare l’insegnamento dalla religione; fu voluta in questa forma innovativa da Jefferson che tuttavia era notoriamente proprietario di numerosi schiavi nonché contrario alla eventuale restrizione delle leggi schiaviste (vedi compromesso del Missouri) e infine architetto del Campidoglio di Richmond divenuto in seguito il simbolo dei confederati; fu costruita su un terreno ceduto da James Monroe che in seguito, da presidente, divenne famoso per la sua dottrina con cui teorizzava il diritto degli Usa di dominare sull’intero continente, fino alla Terra del fuoco. E’ forse la più nota delle poche università pubbliche di rilievo del Paese, ma fino al 1950 rimase un’università solo per bianchi e fino al ’70 solo maschile. Quindi non so fino a che punto la rimozione della statua del generale Lee sia davvero appropriata ovvero appartenga alla storia degli Usa come nazione perché allora tanto varrebbe andare a picconare Jefferson sul monte Rushmore e non sia invece un’espressione degli States come impero sovranazionale che rifiuta il pregiudizio etnico in favore di quello culturale, ovvero del pensiero unico capitalista e mercatista.
A dirla tutta la noncuranza con la quale l’America e il suo codazzo occidentale organizza caos e guerre che fanno milioni di morti, salvo piangere poi sulle schegge di ritorno, ha tutta l’aria di essere una forma del suprematismo bianco di stampo ottocentesco, tradotta nella lingua del politicamente corretto, ma sempre assolutamente visibile. Solo che a questa forma di razzismo arcaico si sovrappone, senza peraltro sostituirlo o eliminarlo e nemmeno contraddirlo davvero, il razzismo culturale secondo il quale solo le forme di pensiero occidentale hanno una validità universale e tra queste il capitalismo che è risultato vincitore per l’eternità. Ciò si traduce a basso livello nella guerra di civilità che è diventata la strada maestra della xenofobia e un gradino più in su nella necessità che gli individui vivano tutti dentro gli stessi valori neoliberisti, mentre qualunque altro pensiero sociale costituisce di per sé un motivo di preoccupazione, di antiglobalizzazione e di guerra che va ben al di là delle religioni.
A me viene da ridere quando i cachettisti della televisione o dei giornali si affannano a dare spiegazioni sull’Islam e sull’estremismo o l’integralismo: a parte la palese improvvisazione non hanno capito che non è certo questo che teme l’impero il quale anzi ha creato e sfrutta questi fenomeni, salvo esecrare “i danni collaterali” che se sono tali per la gente comune costituiscono invece un grande vantaggio contrattuale per il potere. E’ di altro che ha paura come dimostra il fatto che da quarant’anni il vero obiettivo è stato quello di distruggere qualsiasi accenno di laicismo, solitamente di ispirazione socialista o aperto a questa possibilità, tra Medioriente e Africa. Il colore del pensiero si sostituisce a quello della pelle: deve essere bianco, dev’essere americano. Atro che generale Lee.
Questi scontri artificialmente creati per seminare caos e disordine portano, come al solito, la firma del casinista globale George Soros con le sue ONG, create all’epoca del presidente Reagan dal direttore della CIA Bill Casey per attuare azioni di intelligence senza coinvolgere l’agenzia.
Il motivo del contendere è veramente assurdo perchè la Guerra di Secessione rappresenta un episodio lontano che contiene solo un motivo per renderlo attuale.
Si tratta della prima manifestazione di quell’elite industrial-finanziaria del Nord degli Stati Uniti che in breve tempo si imporrà all’attenzione mondiale per la sua violenza e il suo desiderio di dominio e i cui discendenti ancora oggi provvedono a seminare guerre e massacri per il pianeta.
Parliamoci chiaro, ai banchieri e agli industriali di New York, i neri liberati dalla schiavutù, interessavano solo in quanto futuri consumatori dei loro prodotti.
Quello che veramente imposero con quel conflitto fu il protezionismo contro il liberismo economico che volevano gli Stati del Sud e un’organizzazione dello Stato più accentrata a scapito dei singoli Stati dell’Unione.
Nessuno, chiaramente, vuole difendere un sistema basato sulla schiavitù, ma i problemi in gioco erano anche altri e i 350.000 morti sudisti dimostrano che la lotta per ottenere la secessione era sentita come una questione patriottica.
Di lì a poco l’elite nordista avrebbe attaccato le colonie spagnole gettando le basi di un impero sanguinario, che avrebbe causato nel corso del secolo successivo milioni di morti.