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L’addio di Silvio e l’abiura del Pd

E così è arrivato l’atto finale del ventennio: il ritiro ufficiale di Berlusconi per l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza dei sondaggi (quelli veri, non quelli fatti per la pubblicazione). Il riecheggiare  della prosa badogliana viene proprio a puntino perché l’Italia che lascia, dopo tanti miracoli e contratti è come quella uscita da una guerra perduta su tutti i fronti: un cumulo di macerie materiali e morali, un Paese ormai marginale (proprio ieri la borsa di Milano è stata declassata a piccolo mercato locale), governato di fatto come una colonia, confuso e corrotto.

Ma non è un 25 luglio, nè un 25 aprile, qualcosa che lascia spazio alla speranza di un riscatto: i veleni immessi nella società italiana durante tanti anni continuano ad operare e impediscono la creazione e la nascita di una reale alternativa a ciò che è stato il berlusconismo: una vulgata del liberismo da bar sport. Lo si capisce bene leggendo la Carta d’Intenti (è allegata alla fine del post) che dovrà firmare chi vuole partecipare alla primarie del Pd: dire che si tratta del vuoto assoluto, dove feticci come Europa ed equità fungono da trompe l’oeil dietro il quale c’è il nulla, sarebbe sbagliato. Dire che si tratta di un tentativo in lingua politichese di far baluginare prospettive che sono state azzerate dal fiscal compact e dal pareggio di bilancio in Costituzione, sarebbe riduttivo. Il fatto è che il documento nella sua sostanza è un’abiura a qualsiasi politica di sinistra.

Chiuso nella gabbia di ossessioni e stilemi rituali  il documento tematizza non soltanto l’impossibilità finanziaria di una visione diversa della società italiana, ma sembra quasi affermarne l’inopportunità e la non desiderabilità. Tutto teso ad adorare un’Europa purchessia, anche quella dominata dagli interessi finanziari e dai Paesi forti a discapito dell’ “Italia bene comune”, evita qualsiasi progettualità politica scaricandola su scelte continentali per le quali non vi sono né le condizioni né gli strumenti. Nemmeno si fa  sfiorare dal dubbio posto dalle recenti prese di posizione del Fmi proprio sulle politiche di austerity, finendo per essere scavalcato a sinistra persino dal Fondo monetario. Così il ritorno alla dignità del lavoro, a un welfare decente, a concetti di solidarietà e di uguaglianza reale, vive nel nulla e semmai è rimandato a un’improbabile se non impossibile revisione dei trattati europei, imprudentemente firmate  pochi mesi fa e frutto esattamente di un’Europa divisa dagli egoismi nazionali. E’ un documento da naufraghi che non dispongono di una bussola molto diversa da quella di Silvio.

Così Berlusconi rinuncia alla battaglia per il premierato e il Pd rinuncia definitivamente ad essere espressione della sinistra.  Due lunghi processi di sfaldamento si sono conclusi quasi in contemporanea, E oggi tutto è da ricostruire.

Carta d’intenti Pd

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