Anna Lombroso per il Simplicissimus
È vero, sono una bacchettona linguistica. Non mi piace l’ipocrita eufemismo ma ancor meno l’improperio violento, preferendo la tagliente e sobria invettiva. Ma oggi non so trovare di meglio di “hanno la faccia come il culo” per significare quella combinazione di scandalosa spregiudicata grossolana spudorata sfrontatezza che accomuna classe politica e imprenditoriale, manager e “osservatori”, tecnici e commentatori. A riportare anche i capitalisti più riottosi dentro al pensiero unico del neo liberismo ubbidiente dopo la folgorazione equa e solidale di Montezemolo ci pensa la Marcegaglia indignata, lei si, dallo sgangherato populismo di una manovra punitiva del motore del paese, quel mondo di impresa che rischia di sentirsi ancora troppo solo.
Eh si, il contributo di solidarieta’ e’ una follia, bisogna cancellarlo. Meglio agire su pensioni di anzianita’ e Iva. Il presidente di Confindustria è contrario a tassare i capitali scudati è delusa dall’incontro Sarkozy Merkel che ha confermato l’esistenza di un asse Parigi-Berlino.
Per l’innocente Biancaneve d’acciaio, la ricetta sorprendente contro la crisi – che ha colto anche lei di sorpresa – consiste nel ridurre in modo strutturale la spesa pubblica e orientare la manovra verso la crescita.
Compiaciuta per la rapida approvazione della manovra, si accoda con entusiasmo all’affaccendarsi degli inverecondi manovratori intenti al gioco delle tre carte: cambiando l’ordine dei fattori quello che conta è che il risultato non cambi, un risultato recessivo e iniquo, che fa esplodere disuguaglianze insanabili.
Secondo la inossidabile e collaudata pratica padronale di ricorrere al bastone e a una carota sempre più ricattatoria, ci rassicura. Le imprese, dice, faranno la loro parte per mantenere gli investimenti in Italia e offrire opportunita’ di lavoro ai giovani. Ma subito detta le condizioni, mettere mano al sistema pensionistico innanzi tutto. Abolire il contributo di solidarieta’ e la robin hood tax sulle societa’ energetiche.
Nel riconfermare che siamo in un’età nella quale la necessità renderebbe obbligatoria la rinuncia ai diritti e un lavoro comunque sia imporrebbe la rinuncia ai suoi valori economici e sociali, la Marcegaglia resiste alla tentazione di dire che la colpa della crisi è dei lavoratori. Sembra quei “cumenda” che anche davanti ai morti di Bava Beccaris avrebbero gridato ma andè a lavura’, o che brontolavano perché “qua l’è tuta ‘na democrazia”.
Eh si a questi non piace proprio la democrazia tutta non solo quella del lavoro. E non gli piace il diritto di sciopero che ne fa parte. E dire che se c’è qualcuno che ha scioperato sono proprio gli imprenditori italiani, tutti, con la defezione da un progetto di crescita che ha trasformato l’idea di sviluppo in pura regressione. E che è stata chiamata con una formula felice “controrivoluzione passiva” per definire un atteggiamento accidioso e oscurantista fino all’autolesionismo di un ceto imprenditoriale che ha amministrato il clamoroso vantaggio competitivo accumulato nei confronti della propria forza lavoro più con una logica da rentier che d’impresa. Usando quei punti di Pil oltre che le rendite accumulate grazie agli aiuti di stato, al blocco dei salari e all’evasione e al disprezzo delle regole, che si traduce anche nel “risparmio” di interventi per l’ambiente la sicurezza, per correre dietro al profitto indolente, immateriale e astratto dell’azzardo globale, della lotteria finanziaria e speculativa.
Niente investimenti in qualità del lavoro, dei prodotti, dei processi, niente investimenti in ricerca e innovazione: è piaciuto ai nostri imprenditori che hanno dismesso l’iniziativa viaggiare verso Antigua e dirottare le ricchezze in territori altrettanto lontani da quelli dove quella ricchezza si era prodotta, senza più nessi con le cose e gli uomini che l’avevano alimentata e fatta crescere.
Hanno dissipatamente goduto di quel processo iniquo per il quale a fronte della dinamica piatta dei salari si è registrata un vivace crescita dei profitti, a sancire il passaggio dal capitalismo manageriale al capitalismo finanziario, all’ esasperata e rapida massimizzazione del profitto, con la conseguenza di una enfasi delle diseguaglianze e dell’indebitamento attuale e futuro nostro e dei nostri figli.
Marcegaglia ripete la sua lezioncina imparata a memoria: bisogna sanare i buchi del debito pubblico. Che non è affar suo, ovviamente. Come i banchieri e i finanzieri rimprovera lo Stato per un indebitamento che è in gran parte dovuto proprio al loro salvataggio. E pensa che sullo Satto debbano ricadere gli oneri senza toccare minimamente i redditi e il potere della nuova plutocrazia finanziaria della quale ha tanto aspirato a far parte..
Si credevano che la crescita potesse essere illimitata. È illimitata solo la loro proterva yubris, come la dimissione da ogni responsabilità, come la miserabile slealtà nei confronti di un Paese cui hanno succhiato risorse, forza, competitività, genio e bellezza. È illimitata la loro avidità: con buona pace di Cacciari e di Tremonti non è vero che chi è ricco non ruba, sono solo le modalità differenti che comunque questi sono i ladri del nostro presente e del nostro futuro..