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Catastrofe grottesca: la tassa sul divorzio

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Hanno smesso di pensare in grande e mostrano il vero volto della loro miseria che ha l’effetto di ridurre in miseria tutti noi. Dopo le grandi rapine e il sacco del paese adesso si sono ridotti a rubarci le monetine dalle tasche, gli spiccioli dalle pensioni e forse si metteranno a scassinare i distributori del caffè. Non svuotano le cassette delle elemosine solo perché non farebbero nulla contro uno dei più influenti dei loro sponsor, che sarà soddisfatto della nuova misura pensata per raggranellare qualche soldino per il parcheggio. Così in mezzo alla catastrofe sembra che il governo non abbia pensato niente di meglio che proporre una tassa sulle separazioni e i divorzi che prevede un pagamento di 37 euro per le rotture consensuali e 87 per i contenziosi matrimoniali più rissosi, ed altrettanto per ogni modifica degli accordi sull’assegno di mantenimento.
Si è un gustoso rèpéchage di quando c’era lui caro lei, una rivisitazione in chiave contemporanea delle leggi per la famiglia: tasse per punire gli infingardi e antipatriottici celibi o incentivi per promuovere i doveri coniugali in vista di allargare eserciti e cimiteri.

Ma in fondo – insieme a un favore per l’altro governo di Roma, quello al di là del Tevere sempre convinto che l’indissolubilità del vincolo matrimoniale debba essere tutelata anche a costo di favorire delitti familiari, odii e malesseri a ripetizione giù giù per li rami – c’è sempre quella inopportuna volontà, ferma e tenace, di farsi gli affari nostri e condannarci a tutte le forme di imperio sulla vita e sulla morte. E a tutte le reclusioni coatte: da quella di una vita di coppia odiosa e incivile a quella in un corpo avvilito e mortificato dal quale si sarebbe deciso di uscire per salvaguardare quel po’ di dignità che ci hanno lasciato.

Per molti, uomini e donne, un matrimonio fallito è una galera inevitabile nella quale si sopravvive senza amore alimentando rancori risentimenti e frustrazioni. Dipendenza economica, crisi degli alloggi, impossibilità di fare fronte ai costi di mènage separati o di pagare assegni di mantenimento vanificano il diritto a “rifarsi” una vita o di chiudere una relazione ridotta a un ripetitivo riproporsi di un fallimento, ben più che se si sospesa per decreto una delle conquiste piu’ civili, ancorchè tardiva e macchinosa, che questo Paese abbia saputo darsi malgrado l’influenza della Chiesa e grazie a una forte pressione popolare.
Secondo una consolidata abitudine a questa maggioranza piace imporci quello cui sfuggono con ogni espediente. Così ci vogliono persuadere ad ubbidire alle leggi di uno Stato etico quando loro non osservano nemmeno le regole elementari di uno Stato di diritto. E voglio farci pagare piccole “sanzioni sulla libertà” prendendosi la libertà di non saldare i debiti e le multe stabilite dalla giustizia.

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