Tutto sommato la cosa meno riuscita è stato proprio lo slogan “se non ora quando”, un costrutto difficile da scandire e con quella negazione di mezzo che lo rende un po’ bizantino. Tutto sommato molto più incisivo e cantabile quello francese, Berlusonì, meme a Paris  on crie ça suffit. Ma la gente sì, la folla inaspettata di donne e  di uomini e di ragazzi, l’esplosione di una insofferenza che monta nei confronti del regime e che va oltre le intenzioni degli organizzatori, oltre perfino la dignità delle donne, approda alla dignità delle persone, alla dignità di un intero Paese avvilito.

L’imbarazzo per il milione di persone in piazza è palpabile nei palazzi del potere e penetra fino nelle ridicole mutande di Ferrara, in quei quattro gatti di pensionati che andavano dietro la Santanché a Milano. E imbarazza persino il sublime genio della Gelmini che ha detto “Sono solo poche radical chic”. Ma si era preparata la battuta da quindici giorni e sapete, non è che riesca ad improvvisare qualcosa di sensato in poche ore. Nemmeno “sono un milione di radical chic”. Che vergogna un paese dove un simile personaggio è ministro.

Affidano agli Sgarbi e quella paccottiglia di consigliori e mesmeristi del video le squallide, insignificanti reazioni. A quel paese ottuso, miserevole e falso che si annida nel totem televisivo,  che di fronte alla realtà sbiadisce e rivela la sua vera natura.

E dire che il Cavaliere ancora ieri aveva minacciato la rivolta della piazza se il potere della sua augusta persone fosse stato messo in forse. Ora si accorge che la piazza si rivolta contro di lui. Che comincia il terremoto. Ed è giusto così: chi di donne ferisce, di donne perisce. Dovrebbe almeno consolarsi di questo.