Il celebre Ramo d’oro di Frazier si apre con il vecchio sacerdote del culto di Diana che si aggira cauto e angosciato tra i boschi del lago di Nemi. La successione all’altare verde dorato della dea avviene  infatti solo attraverso un unico rito: l’assassinio del vecchio sacerdote da parte del nuovo che proprio grazie a questo gesto spaventoso, ma in qualche modo sacro, acquisisce il diritto ad essere intermediario della divinità

E’ un uso arcaico che si è perso insieme ai boschi e agli antichi misteri, ma anche una metafora del cambiamento che avviene attraverso l’uccisione simbolica del “padre” e di tutto ciò che contrasta con una crescita autonoma, che resiste al ciclo della natura.

Ma se Frasier fosse vissuto oggi non potrebbe comprendere come in questa terra sia potuto nascere un simile rito. Altro che la discontinuità fatale nell’intrico dei rami, il giovane aspirante al sacro bosco non si sogna nemmeno di rappresentare la drammaticità del nuovo, non ha bisogno di essere all’altezza, anzi non deve esserlo.

I suoi meriti consistono nell’essere  il figlio del cugino di un senatore o un raccomandato da chi fornisce capretti per i sacrifici o un  protetto tonto di quello che sistema la casa del pontifex, in cambio di due occhi chiusi sui lavori delle strade consolari. Poi si dovrebbe accordare con il vecchio sacerdote sulla raccolta e vendita delle nocciole, aiutarlo negli uffici alla divinità. E alla fine, quando il vecchio morirà, non ne sarà che la copia. il bosco sarà cambiato di più

Decisamente poco affascinante. Ma questa è la società italiana, senza ricambio, senza merito, immobile e soffocante come l’aria di un temporale che non arriva mai. Le intelligenze marciscono inutilizzate, mentre le stupidità fanno carriera, guizzano fra lauti stipendi. Gli basta essere figli o figliocci di. Il sangue non è acqua, anche se sangue di Trota.